Non c’è niente sotto. E quindi se state pensando di comprarlo, pensateci due volte. Oggetto degli strali dei pezzi da novanta della regolamentazione italiana è ancora un volta, neanche a dirlo, Bitcoin. A dare spazio ai rimbrotti è un altro palcoscenico noto, ovvero quello di Repubblica. Lo stesso palcoscenico che aveva ospitato l’ormai storica cantonata di Tito Boeri.
Una cantonata che è costata a chi gli ha dato retta oltre il 300% in possibili gain e al giornale della borghesia intellettuale e impegnata ogni possibilità di rispetto da parte di chi invece questo settore lo segue, prova a conoscerlo e prova a indagarlo senza pregiudizi.
Non bastando il ridicolo di cui la pubblicazione si è coperta a gennaio 2023, quando Bitcoin valeva poco più di 22.000$, oggi qualcuno nella redazione di Repubblica deve aver pensato di dover tornare alla carica, con BTC prossimo ai 100.000$.
Sotto Bitcoin non c’è nulla, tuona il titolo di La Repubblica, riprendendo dichiarazioni di un’altra vecchia conoscenza del settore. A parlare infatti è Federico Cornelli, CONSOB, tra i pochi a schierarsi pubblicamente a favore dell’aumento della tassazione al 42% sulle plusvalenze BTC e crypto.
Va ricordato, sempre, ch questi strumenti sono altamente, altissimamente speculativi: sotto non c’è nulla, come ha già detto il presidente Savona. Non c’è un debitore. È importante ricordarlo anche perché, semmai dovesse succedere qualcosa su questi strumenti, nessuno venga dalle autorità o dai governi di essere rimborsato [SIC].
La dichiarazione sarebbe stata offerta durante un convegno di Consob sulle preferenze degli investitori italiani. Opinione legittima, per quanto troviamo curioso mettere le mani avanti su eventuali rimborsi che non ci risulta che nessuno abbia chiesto. Poco male comunque, almeno questa volta non si scomoda la Dottrina Sociale della Chiesa per giustificare l’aumento della tassazione al 42%, come fatto dallo stesso Cornelli sulle colonne di L’Avvenire.
Delle opinioni di Cornelli faremo tesoro. Così come faremo tesoro dell’avviso di non andare poi a chiedere soldi a Consob. Ciò di cui non riusciremo a far tesoro però è la curiosa selezione del titolista di Repubblica, che decide di seminare il panico e il terrore scegliendo per l’unica cosa che il 95% dei lettori leggerà – ovvero il titolo – l’unica opzione preoccupata e preoccupante tra quelle poi riportate nell’articolo, all’interno del quale si trova anche un equilibrato giudizio di Massimo Di Rosa di Bitpanda.
Il solito modo di fare giornalismo? Ormai non ci stupisce più nulla, così come non ci stupisce più che da quei giornali che vorrebbero spiegare agli italiani come funziona il mondo arrivi solo pattume sensazionalistico, anche quando – come in questo caso – in realtà il contenuto sarebbe ben più equilibrato.
Il grafico riportato qui sopra non parla una volta tanto di crypto, ma dell’andamento delle copie di La Repubblica. Prima di giudicarla noi di Criptovaluta.it, da un pulpito certamente irrilevante, lo hanno fatto il lettori, che nel giro di 20 anni sono passati da 700.000 a 150.000.
Non sappiamo come andrà l’esperimento Bitcoin. Non sappiamo se continuerà a crescere o se qualcuno rimarrà con il proverbiale cerino in mano. Quel che sappiamo è che nessuno dei nostri lettori dovrà chiedere soldi indietro a Consob. Fatelo per noi e per il rispetto che pensiamo di esserci guadagnati in questi anni di attività, anche quella senza chiedere neanche un euro di denaro pubblico, anche quando avremmo avuto i requisiti per ottenerlo.
Non chiedete nulla indietro, dato che neanche chi ha investito in strumenti che sotto avevano qualcosa è riuscito ad ottenere nulla. Parliamo di chi ha investito in Bond Parmalat, in azioni Veneto Banca, Alitalia o Tiscali.
Tutti prodotti che al contrario di Bitcoin avevano del sottostante e che hanno polverizzato i risparmi di decine di migliaia di italiani.
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