C’è chi vince dall’inasprimento del regime fiscale per Bitcoin e crypto. Gli investitori avranno certamente perso, ma qualcuno tra gli intermediari, presenti e futuri, porta a casa un sostanziale business, dovuto in larga parte non alle libere scelte degli investitori, ma dalle storture che un regime fiscale non omogeneo inevitabilmente introduce.
Il 2025 sarà identico per tutti gli asset: tanto si pagherà sulla compravendita di Bitcoin e crypto, tanto si pagherà sugli ETF. Dal 2026 però – a meno che non si intervenga per rimandare l’aumento, gli investitori crypto potrebbero dover prendere decisioni dettate dalla necessità di risparmiare qualcosa a livello fiscale. E di risparmiarlo in modo 100% legale.
Diventerà più conveniente fare trading con certi strumenti, ricorrere ad altri e per altri ancora dirigersi verso altri strumenti. Il ragionamento, che dovrà essere necessariamente affrontato anche in futuro in modo più approfondito, può essere utile anche per chi vorrebbe capire i possibili esiti di questo nuovo regime e intervenire.
Ci sono degli effetti, oltre a quelli per le casse dello Stato, dei quali probabilmente non si era tenuto conto in fase di trattativa tra le diverse forze di governo.
Una premessa: il regime di cui parliamo è quello previsto per il 2026, che non è ancora tecnicamente in vigore e che potrebbe cambiare appunto nel corso del 2025.
Fare 1€ di gain tramite derivati sarà fiscalmente più vantaggioso di fare 1€ di gain tramite spot, ovvero comprando e vendendo davvero criptovalute.
La situazione può essere sanata? Difficile immaginare che si passi ad un regime speciale per i derivati a seconda del sottostante (che poi non c’è, ma pazienza).
La cosa è interessante anche perché i derivati – per motivi invero assai ovvi – sono molto più pericolosi. Bastasse soltanto pensare al rischio di controparte: fallisce l’emittente del derivato, addio denaro.
Gli ETP/ETN (guai a chiamarli ETF in Europa) saranno più vantaggiosi. Anche qui a patto di non vedere stravolto il regime di tassazione di questo tipo di prodotti da qui al 2026.
Detenenere uno strumento che al suo interno ha Bitcoin o crypto per comprare e venderlo e fare plusvalenze sarà più conveniente, per una percentuale non irrisoria, rispetto alla compravendita diretta di Bitcoin o crypto.
Con un grosso guadagno per i gestori, che intascheranno commissioni di gestione, in alcuni casi laute, e per gli intermediari, che incasseranno commissioni sugli ordini.
Ci sarà probabilmente un boom, in Italia, per quanto riguarda il ricorso a prestiti crypto. Hai Bitcoin e vuoi liquidità? Potrai ottenere un prestito (a tassi di interesse che per ora sono nel grosso dei casi esorbitanti) usandolo come collaterale e non pagare il 33% su eventuali gain.
Anche qui rimane l’incertezza di un possibile intervento su questi strumenti. Ad oggi però operare tramite prestiti – ci torneremo – sarebbe fiscalmente più vantaggioso. Salvo poi pagare commissioni e interessi davvero sostanziosi.
In tanti ci hanno chiesto di guardare alla questione seguendo la filosofia dell’ottimismo, quella del bicchiere mezzo pieno.
Il regime del 2025 è peggiorativo rispetto a quello del 2024. E quello del 2026 se non dovesse essere modificato, sarebbe ulteriormente peggiorativo. Per quello del 2026 c’è spazio però per iniziare a lottare.
È eccessivo, almeno raccogliendo le opinioni dei nostri lettori, cantare vittoria, perché di vittoria non si tratta. Ma c’è da lavorare e probabilmente si potrà provare a farlo.
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