Editoriale

Su Bitcoin ABBIAMO PERSO TUTTI. Perché la narrativa Store of Value non conviene a nessuno

Insistere su bitcoin store of value ci ha fatto già perdere un'importante battaglia. E arriveranno altre sconfitte.
2 mesi fa
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Stiamo perdendo un’importante battaglia. E la sconfitta è doppiamente grave perché la stiamo perdendo sul fronte interno. Bitcoin è fiorito come asset, è tutto un tripudio su giornali e TV di 21 milioni di coin per l’asset più scarso della storia, ma si parla poco, troppo poco, dell’altro aspetto della natura di Bitcoin, che è quello di un *network monetario rivoluzionario, senza intermediari e doppiamente utile con l’inasprimento della repressione fiscale.

Una premessa: bitcoin è nato per essere per tutti. Non chiede documenti, non controlla liste di sanzionati, non verifica se siete residenti in paesi espulsi dal consesso finanziario globale. Sei nato e vivi in Siria? Puoi ricevere e inviare transazioni su Bitcoin. Sei stato espulso da tutte le banche del mondo? Come sopra, puoi continuare a operare in Bitcoin.

Il vedere bitcoin soltanto come asset, come dicono quelli bravi come store of value ha avuto anche degli effetti immediati sul futuro delle leggi fiscali italiane che lo governeranno. A chi lo utilizza per pagare (e dunque difficilmente può essere considerato un investitore/speculatore), non sarà più riconosciuto il privilegio di una no tax area da 2.000€.

Solo una metà della mela – quella meno interessante

Ci si ostina a parlare di Bitcoin come asset deflativo, o comunque di protezione dall’inflazione, o ancora come asset scarso che in un mondo dove si stampa denaro a piacimento, non può che mancare in un portafoglio che si rispetti.

È vero? Dipende. I sostenitori dello Store of Value tendono ad allargare il grafico il più possibile per dimostrare che in un arco temporale sufficientemente ampio, Bitcoin comunque va su. È vero, ma ci dice relativamente poco sulla sua funzione in chiave anti-inflazione. Ma ammettiamo che sia vero. Ammettiamo che sia sempre vero, e partiamo da questo punto per una prima discussione.

È così straordinario un asset che sarà circolante in un massimo di 21.000.000 di unità? Sì, ma fino a un certo punto. Ognuno potrebbe creare un sistema simile ed è dunque altro a rendere bitcoin di valore.

  • Una cultura

Per quanto insopportabili possano essere i membri più rumorosi di questa cultura, condividono quasi tutti la stessa filosofia: le cose solide non si cambiano, i cambiamenti per la voglia di cambiare non si fanno e si è anche relativamente compatti sulle questioni importanti. Tant’è che le discussioni interne vertono in genere su questioni tecniche che sarebbe anche difficile spiegare a chi non conosce profondamente il protocollo Bitcoin.

  • Un effetto network

Domani chiunque, con capacità tecniche neanche così importanti, potrebbe prendere Bitcoin, copiarne il codice, limitare il totale di “circolante” e avrebbe per le mani qualcosa che vale esattamente zero. Non interesserebbe a nessuno, e anche avendo un asset che esiste in numero minore non ne trarrebbe alcun giovamento. Questo perché la massa critica di utenti è stata già raggiunta ed è difficilissimo spostarli altrove.

  • Un network monetario

Se avessimo 21 milioni di pietre in una gigantesca cassaforte e iniziassimo a spenderle in cambio di beni e servizi, pietre che sono impossibili da copiare o produrre senza lavoro (cosa che è necessaria per Bitcoin), non avremmo comunque Bitcoin. Avremmo un asset che – ammesso che prenda piede – è scarso in senso economico e che però difficilmente può essere mandato dall’altra parte del mondo con un paio di click e che altrettanto difficilmente può essere trasportato o detenuto senza appoggiarsi ad un custode raggiunta una certa quantità di pietre.

La grandezza di Bitcoin non è nei 21.000.000, che sono comunque notevoli, ma proprio nel network all’interno del quale possiamo spenderli. Un network aperto a tutti, per tutti e di tutti. Un network p2p che in una fase di crescenti limitazioni all’utilizzo del denaro digitale classico (i conti in banca che tutti abbiamo) diventa ancora più importante.

Un concetto che non è passato nella nuova normativa fiscale

La nuova normativa fiscale – che prevede l’eliminazione della soglia dei 2.000€ – dimentica questo aspetto di Bitcoin. Chi si fa pagare e paga in bitcoin sarà costretto a tenere complicatissime contabilità aggiuntive, perché di soglie non ce ne sono più e anche gain minimi rispetto all’euro vanno registrati per poi pagarci le tasse.

In tanti si sono lamentati perché si troveranno a pagare tasse che altrimenti non avrebbero pagate. Il tema è però più sottile: viene punito l’utilizzo di bitcoin come denaro, dato che è interesse di quattro gatti e dato che alla fin fine chi compra bitcoin è per farci quattrini.

Non è così.

  • Ma nessuno accetta pagamenti in bitcoin!

A parte il fatto che non è vero, ci sono oggi decine di canali per pagare in bitcoin anche se il ricevente vuole euro. Ci sono carte di pagamento con la ricarica direttamente in crypto e anche diversi exchange offrono relativamente comodi servizi di pagamento.

Servizi che sono utilizzati solo in Italia da decine di migliaia di persone – tant’è che gli exchange hanno fatto a gara a proporre certi servizi – e che da inizio 2025 saranno invece l’altra faccia dell’investimento.

I più duri e puri obietteranno che pagare tramite una carta Mastercard con dietro una conversione non è esattamente pagare in bitcoin. È vero, ma fino a un certo punto. Quando inviate un pagamento in Euro e la società dall’altra parte lo converte poi in dollari, state comunque pagando in Euro. E la natura custodial di certi servizi c’è, ma nessuno vieta di caricare denaro solo quando ci serve.

Vengono dunque puniti un vasto numero di persone, che pagato per l’atteggiamento intellettualmente pigro di risponde store of value quando qualcuno ci chiede a cosa serva bitcoin.

In realtà serve a tanto altro – e probabilmente la sua qualità di asset duro e puro è la meno interessante. O comunque un racconto assai parziale della vera rivoluzione che Bitcoin ha avviato e che siamo sicuri che porterà a termine.

Gianluca Grossi

Caporedattore ed analista economico. È divulgatore per blockchain, Bitcoin e criptovalute in generale. Solida formazione tecnica, si occupa del comparto dal 2015. Detenzioni: Bitcoin, Ethereum.

Vedi Commenti

  • Un articolo molto discutibile su quasi tutti i temi trattati a cominciare da “chiunque può creare un nuovo bitcoin…” oppure sullo store of value oppure sulle ridicolaggini tutte italiane sulla fiscalità.

    Ma il tema più importante che caratterizza Bitcoin è stato completamente tralasciato nell’articolo ovvero la sua natura decentralizzata.

    suggerisco di scrivere un addendum che tratti solo il tema della decentralizzazione quale vero e unico elemento distintivo tra valute fiat e Bitcoin.

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    • Franco, non era un trattatello su come funziona Bitcoin, che è presente altrove nel sito con dovizia di particolari. E no, la "decentralizzazione" non è il vero e unico tema distintivo. Una buona domenica

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  • Anche un quadro di Picasso serve ad abbellire una parete, puoi farne queste copie vuoi, ma se parliamo di valore, solo la sua unicità riconosciuta lo rende prezioso. Non tutti saranno disposti a pagarne il valore, ma questo non lo rende meno prezioso. E come per Bitcoin, anche i collezionisti d'arte spesso tengono le opere in cassaforte, annullando di fatto la natura stessa della funzione del quadro, essere visibile a tutti.

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  • Si tratta di un problema politico. BTC come strumento di scambia peer to peer che aggira tutto il castello di regolamentazioni e tassazioni create intorno alle valute FIAT, non è accettabile politicamente. Punto. Verrebbe schiacciato. Si chiuderebbero gli exchange, se ne vieterebbe anche il semplice possesso. BTC come "store of value", corrispettivo digitale dell'oro, è un qualcosa di accettabile anche dal "sistema". In tal senso vedi gli ETF, vedi Blackrock, vedi dichiarazioni di Adam Back.

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    • Sono d'accordo sul fatto che sia un problema 100% politico!

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