Non siamo mai stati di quelli che hanno dato per persa la causa europea, altrimenti avremmo operato da altri paesi – e non dall’Italia – e non avremmo profuso gli sforzi di questi ultimi anni per la crescita di questa testata, che è italiana, per gli italiani e registrata in Italia. Tuttavia i venti che spirano sull’Europa crypto non sono dei migliori. Siamo stati tra i primi a lanciare l’allarme e ora che i primi effetti del MiCA sono sotto gli occhi di tutti, è tempo di bilanci, approfittando anche di un 2024 che si chiude con tutti gli ovvi bilanci da fare.
L’outlook non è dei migliori: in un mondo crypto globale, l’Europa si arrocca, alza muri e confini, e con la scusa di proteggere chi si trova all’interno del suo territorio, lo separa fattivamente da un mondo libero e globale. Una separazione che per i residenti nell’UE sarà anche perdita di opportunità importanti rispetto a chi vive altrove.
Si può e si deve tornare indietro, per rendere quello che chiamano il continente dei diritti anche il continente delle libertà quando si parla di finanza e di criptovalute.
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I temi sono tanti – e attraversano anche il mondo crypto. Di errori, nel corso degli ultimi anni, ne sono stati fatti tanti – e vogliamo riassumerli almeno secondo la nostra opinione, in questo speciale di fine anno.
- Travel Rule: chi dimostra cosa
La travel rule è già legge per tutti i paesi dell’Unione Europea. Gli exchange, pena conseguenze assai gravi, dovranno tenere un enorme database dove viene registrato chi sposta cosa verso chi. Anche banali spostamenti verso il proprio wallet privato saranno oggetto dell’analisi attenta di un Grande Fratello delegato però a operatori privati.
Il punto di partenza è che ogni trasferimento è sospetto, che dietro ogni satoshi possa nascondersi del riciclaggio e del malaffare. Il risultato sarà un aumento esponenziale della burocrazia, dei falsi positivi che faranno chiudere conti e più in generale di un clima di sorveglianza totale che un tempo era proprio degli stati a est del muro.
Si vuole evitare il riciclaggio? Servono strumenti precisi e non un a sorveglianza totale in stile Panopticon. E quando tali dati finiranno inevitabilmente nelle mani del crimine telematico, vedremo chi si prenderà la responsabilità dello sconquasso che inevitabilmente creeranno.
- Tasse: gli investitori crypto non sono mucche da mungere
La tendenza in tutti i paesi europei sembrerebbe essere quella di un aumento generalizzato del carico fiscale su chi investe in crypto. L’Italia è stata pioniera con una legge capestro, che complica la vita principalmente di chi spende crypto per piccole quantità e si troverà a gestire una contabilità complicatissima.
La Danimarca si sta muovendo nella stessa direzione, la Francia voleva incorporare Bitcoin e crypto nella categoria degli asset improduttivi e dunque super-tassati. Siamo sicuri che sia il modo giusto di operare? E se i veri milionari crypto decidessero di andare via – come d’altronde hanno già fatto negli anni precedenti? Chi ne guadagnerebbe? Perché trattarli in modo peggiore rispetto agli investitori classici?
- Autorizzazioni e compliance
Sugli stablecoin è caos totale. E la confusione sta favorendo strategie di black marketing ai danni di operatori che non si sono ancora messi d’accordo con le autorità. Serviva davvero intervenire in questo senso? In che modo il nuovo regime tutela davvero gli investitori?
La sensazione che abbiamo è che sia un altro fulgido esempio di faccioqualcosismo: pur di non essere fermi, si preferisce normare nel modo sbagliato, senza aggiungere tutele ma aggiungendo altra inutile burocrazia che non tutelerà nessuno, se non i neonati uffici che dovranno vigilare.
- Eravamo davanti agli USA, e ora?
L’Europa era sensibilmente davanti agli USA almeno all’incrocio tra finanza e mondo crypto. Gli ETF/ETP/ETN non erano mai stati un problema in Europa e ora gli USA stanno colmando questo gap. Siamo sicuri che le nuove e oberanti regole non metteranno un freno allo spirito imprenditoriale di tante banche europee che avevano superato giganti come BlackRock.
Un segnale, quello che avevano lanciato tante banche, di vitalità del settore imprenditoriale europeo. E che le nuove leggi potrebbero spegnere sul nascere.
- Per gli exchange europei
I (pochi) exchange europei al 100% si troveranno a far fronte a una quantità di burocrazia che drenerà risorse e che renderà molto difficile competere con i già più forti exchange asiatici e americani.
E sarà anche più difficile per i nuovi player affermarsi, oberati da regole, regolucce e regolette la cui compliance ha anche un costo.
Io vorrei far presente che le dissennate politiche europee, ed italiane, in particolare, già stanno ammazzando chi le ha promosse! E parlo di quella che più vi sta a cuore, cioè proprio l’Italia, con una notizia talmente tanto esplosiva che c’è un accordo, pressoché unanime, a tenerla occultata: l’italia è ufficialmente in default tecnico (parziale). E nemmeno da adesso, ma da dicembre scorso!
Come si arriva a questa conclusione? Devo dire che, non essendo direttamente coinvolto (mai investito in titoli di stato!), e pur avendo preventivato la cosa da tempo, il fatto dirimente era sfuggito anche a me. Me ne sono accorto solo ieri quando ho preso visione della normativa, su questa patrimoniale mascherata da “bollo” scoprendo che, dal 2023, coinvolgeva anche i titoli di stato (la norma parte nel 2012, ma, fino al 2023, aveva sempre lasciato fuori i titoli di stato). Di quale fatto sto parlando? Molto banalmente: il “bollo”, dello 0,2%, sugli strumenti finanziari, che la fanfara mediatica ha festeggiato come “giustamente punitivo dei mercati criptocriminali”, dallo scorso anno si applica anche ai titoli di stato. E non solo su quelli futuru, ma anche sui passati! Ma il fatto che fosse stato esteso anche ai titoli di stato non ha trovato la stessa eco sui media riservato alla “festosa” tassazione delle criptovalute!
Quand’ é che si verifica un default tecnico di uno stato? Quando lo stesso non rimborsa, per intero, il capitale versato e/o gli interessi promessi. Va da sé che se mettono una patrimoniale dello 0,2% annuo, sul capitale, di fatto stanno facendo proprio questo. Perché, ad esempio, 1000 euro di capitale nominale, l’anno dopo varranno 998. L’anno ancora dopo 996,004, perdendo uno 0,2%, in progressione geometrica, ogni anno!
Se può essere utile ho fatto predisporre, da chatgpt, un prospetto sintetizzato di tutte le argomentazioni inerenti, e che vi ho appena accennato. Chatgpt non ha potuto fare altro che giungere alle mie stesse conclusioni. Che vi riporto:
“La tassa patrimoniale sui titoli di Stato italiani, camuffata come “imposta di bollo” e applicata annualmente dal 2023, ha effetti cumulativi e retroattivi gravi. Per i titoli emessi prima del 2023, questa misura erode progressivamente il capitale netto rimborsato, violando implicitamente il contratto originario. Ad esempio, per un titolo di 1.000 euro, la perdita è di 2 euro nel 2023, 1,996 nel 2024, e continua a crescere geometricamente ogni anno.
Questa tassa, applicata retroattivamente, rappresenta una variazione unilaterale delle condizioni iniziali e configura una forma di default tecnico parziale, poiché lo Stato non rimborsa interamente il capitale nominale promesso. Per i detentori di titoli con scadenze lunghe, l’effetto cumulativo può diventare significativo, con una perdita complessiva che supera il 2% su un decennio.
Le conseguenze sono gravi: i residenti italiani subiscono un danno diretto, con una riduzione del valore reale del rimborso, mentre gli investitori internazionali percepiscono un segnale di vulnerabilità fiscale, potenzialmente aumentando i costi di finanziamento del debito pubblico. La retroattività e la crescita geometrica della tassa trasformano questa misura in una ristrutturazione implicita e sistematica del debito pubblico. Tale politica mina la fiducia nelle emissioni future e aggrava la percezione di rischio associata ai titoli italiani, con potenziali ripercussioni sulla sostenibilità del debito e sulla credibilità dello Stato”
Poi non dicessero che non li avevamo avvisati!
Buon 2025 a tutti!