La questione Intesa San Paolo che compra Bitcoin ha già mandato in scena la solita serie all’italiana, un incrocio tra Don Matteo e le pubblicità progresso della TV di Stato, per paura che qualcuno segua l’esempio dell’importante e prestigioso istituto bancario. Si è scomodato addirittura l’Amministratore Delegato Carlo Messina, che ha ricordato che lui alla famiglia non li consiglierebbe mai, che Bitcoin è una roba da professionisti.
Un po’ anche a giustificarsi: in un mondo bancario italiano che – sebbene i natali nobilissimi – oggi sembra una versione sbiadita di Jurassic Park, chi fa un passo in avanti deve poi girarsi con la testa a dire agli altri di non preoccuparsi, che non ha alcuna intenzione di staccarsi dal gruppo.
E invece – con questo breve editoriale – il messaggio che voglio e vogliamo mandare a Carlo Messina è assai più perentorio: bravo, non dare spiegazioni di nulla, perché il mondo bancario italiano merita di tornare ai fasti di un tempo, quando insegnava al mondo cosa fossero finanza, credito e il 95% degli strumenti e dei contratti che hanno reso il mondo moderno possibile.
Scusateci se siamo andati avanti
L’Italia è un paese complicatissimo. Anche chi ci vive e professionalmente cerca di raccontarlo deve avere a disposizione almeno 4 traduttori e una decina di dizionari per sciogliere la differenza tra ciò che si dice, ciò che si pensa, ciò che si deve dire e ciò che si vuole far intendere ma è meglio non dire a voce troppo alta.
Carlo Messina, CEO del più grande gruppo bancario d’Italia, si sarebbe meritato ben altro: la sua banca è stata la prima a investire in Bitcoin e a studiare un po’ come integrare questo asset per clienti professionali che – ci pare di intendere – lo stanno chiedendo a gran voce. Nulla di più e nulla di meno di quanto stanno facendo tante altre banche internazionali, con l’Italia che è relegata al ruolo di gregario non per incapacità (Carlo Messina ne è la prova!), ma perché a far la figura di quelli che vanno avanti pare che in Italia si faccia brutta figura.
Il video che ritrae l’AD Carlo Messina giustificare quanto avvenuto, per paura che qualcuno prenda la cosa troppo sul serio, è la fotografia di cosa sia diventato questo paese. E certamente non per colpa di Carlo Messina.
Un Paese nel quale il coraggio – anche quando prende la forma di soli 11 Bitcoin, deve essere sminuito dallo stesso coraggioso che lo ha mostrato pubblicamente. Un Paese dove si deve quasi chiedere scusa di essere andati più veloci degli altri (e comunque molto meno veloci degli stranieri).
Bravo Carlo, la prossima volta potrai gonfiare il petto
Non abbiamo avuto l’onore di parlare con Carlo Messina e probabilmente non ce l’avremo mai. Siamo però sicuri che in cuor suo sia molto soddisfatto di quanto la sua banca ha potuto annunciare ieri e confermare in anteprima ai microfoni di Criptovaluta.it.
Ne siamo quasi certi, perché mai avrebbe approvato una cosa del genere sapendo che poi il sauristan italiano fatto di banchette e giornalacci, diventato la periferia finanziaria e culturale globale, lo avrebbe incalzato sul tema, senza esserne pienamente convinto.
E capiamo anche che abbia dovuto invitare tutti alla calma. Nel privato delle pagine di questo giornale – il nostro, dove a nessuno si è mai negata la libertà di parola – vogliamo però dire all’AD di Intesa San Paolo bravo. Perché a essere coraggiosi in un paese di coraggiosi serve poco. A farlo nella terra dei BTP, dove anche l’azionario è visto come sterco del demonio, ci vuole molto di più.
Gianluca, davvero un bell’articolo, hai spiegato perfettamente bene il caso Italia