Ripple è stato uno dei progetti maggiormente premiati dall’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. Il ragionamento fatto da chi investe sui mercati è semplice: cambia SEC, diminuiscono i pericoli per un protocollo che è stato il più colpito dalla gestione Gensler. Ragionamento che ha del merito, per quanto ormai sia cosa del passato.
Nelle ultime ore sta infatti impazzando la polemica sulla fase 2 dei rapporti tra Ripple e Stati Uniti. Polemica che vede su posizioni inconciliabili due dei gruppi più rumorosi e compatti dei social crypto e Bitcoin. Da un lato i cosiddetti massimalisti BTC, dall’altro l’XRP Army, il nome con il quale viene definito il gruppo di sostenitori di Ripple più… animoso.
Al centro della discussione ci sarebbero i supposti tentativi di Ripple Labs di far saltare la questione riserve in Bitcoin nel caso in cui non fosse incluso anche XRP. Sono già volate accuse gravi tra gruppi che si mal sopportano anche per il coinvolgimento, anche nel passato recente, di Ripple in campagne contro Bitcoin organizzate da Greenpeace.
Riserve, inquinamento e la storia di un odio decennale
Chi è arrivato da poco nel mondo crypto e Bitcoin, non è certamente al corrente delle faide interne al comparto. La lista è lunga, continua a espandersi, anche se ci sono pochi scontri della ferocità di quello tra BTC e Ripple. Un odio risalente, che è stato recentemente alimentato anche da una relativamente recente campagna di Greenpeace contro Bitcoin che ha visto tra i finanziatori Chris Larsen, co-fondatore e presidente di Ripple Labs.
L’opera d’arte che rappresentava l’industria del mining Bitcoin come un teschio dal quale sbuffavano fumi di ogni genere e sorta è stata in realtà adottata dai bitcoiner, che ne hanno fatto un loro simbolo.
Di questioni che ne sono tante altre, ma sarebbe il caso, anche alla luce del nuovo vento americano sul mondo crypto, di muoversi verso la più recente delle polemiche: Brad Garlinghouse di Ripple è stato accusato di fare lobby (anche a suon di finanziamenti) per avere anche XRP nella national stockpile crypto, la scorta nazionale USA di criptovalute.
Una questione dai contorni ancora sfocati, che non è stata confermata nei dettagli da Brad Garlinghouse, che ha però ammesso che gli sforzi ci sono stati, sforzi che considera favorevoli alla creazione della national stockpile di cui sopra:
Secondo Garlinghouse lo sforzo di Trump sarebbe nel senso di favorire le società USA che si occupano di crypto, cosa che vorrebbe dire un regime di favore anche per XRP, dato che Ripple Labs appunto è società americana.
No dei bitcoiner più radicali?
C’è un chiaro no: in diversi stanno facendo campagna su X (principalmente) affinché il Presidente USA ignori Ripple e più in generale tutto ciò che non è Bitcoin.
Il massimo delle polemiche è arrivato però proprio contro Ripple, per la presenza di scontri ormai risalenti nel tempo e di posizioni che sono da sempre inconciliabili.
La situazione è in evoluzione – e sarà interessante seguirla anche per il rifiuto del governo Trump di procedere con un dollaro digitale. Ripple ha puntato molto in passato (anche in termini pubblicitari) sulle CBDC. Che potrebbero diventare molto meno cool – ma non in Europa – ora che gli USA hanno deciso di eliminarle dal novero delle possibilità.