Abbiamo già dato copertura alla vicenda del rapimento in Francia del co-fondatore di Ledger, che fortunatamente si è risolto nel migliore dei modi. Sul tema è intervenuto oggi TGCOM24, in un servizio firmato da Francesca Canto, che racconta anche i particolari più scabrosi della vicenda.
Si parla poi di un riscatto in Bitcoin, con le criptovalute che sarebbero sempre più in voga per certe operazioni perché difficili da rintracciare. Niente di più falso, almeno in questa parte della ricostruzione: i rapitori hanno infatti accettato un riscatto di Tether USDT, una valuta legata al valore del dollaro, e si sono visti congelare immediatamente quanto ottenuto. Cosa che sarebbe stata impossibile invece nel più consueto contesto bancario. Almeno in tempi così stretti.
C’è un’altra parte della vicenda, più generale, che i colleghi della stampa tradizionale fanno fatica a comprendere: influencer, fondatori di società crypto e investitori sono maggiormente colpiti dai sequestri e dagli assalti non perché le crypto sono difficili da rintracciare, ma perché c’è un’altra caratteristica di questi asset che li rende più appetibili.
L’autocustodia è il “problema”
Anche quando a richiedere il trasferimento di denaro sono miliardari, è difficile che le banche effettuino trasferimenti milionari senza chiedere ulteriori informazioni. È praticamente impossibile che li effettuino quando di mezzo c’è un sequestro, dato che come prima reazione, in genere, si congelano gli asset del sequestrato e spesso dei suoi familiari più prossimi.
Il denaro che è nelle banche sarà anche nostro legalmente, ma non ne abbiamo la piena disponibilità. C’è un intermediario che può rifiutarsi (per tutta una serie di motivi) di effettuare un trasferimento o di accordarci un prelievo. La cosa, sebbene non abbia completamente debellato il problema sequestri, è un problema per chi cerca il colpaccio rapendo milionari e chiedendo riscatti.
- Sì, gli attacchi contro i crypto-famosi e i crypto-milionari stanno crescendo
Lo conferma la procura francese, ma lo confermano i notiziari di un po’ tutto il mondo. Dalla Thailandia al Vietnam, passando per la meno esotica Europa, i casi si stanno moltiplicando. Ma no, non è perché le crypto sono poco rintracciabili.
- Pieno accesso alle proprie sostanze
Il punto che interessa ai sequestratori è un altro: con l’accesso alle proprie chiavi, tutti possono trasferire anche miliardi di dollari di controvalore in crypto senza che ci sia alcun intermediario. E dunque senza che si possa bloccare preventivamente alcunché. E dunque senza che la banca o la polizia possano frapporsi.
Immaginiamo di essere Mario Rossi, personaggio molto visibile nel mondo crypto, con un enorme gruzzolo in Bitcoin o in altra criptovaluta. Se ha accesso diretto ai propri asset (ovvero se è in auto-custodia), può trasferire in pochi secondi quantità enormi di denaro senza che alcuno possa interrompere tale flusso.
Sei un sequestratore? Colpisci un crypto-famoso perché sei certo o quasi del fatto che abbia una quantità non indifferente di criptovalute a disposizione. E che dunque possa trasferirle facilmente.
Cosa è successo davvero nel caso Balland?
In realtà i sequestratori hanno accettato un pagamento in Tether USDT. Si tratta della crypto stable più utilizzata al mondo, e che vale esattamente 1$. C’è però un problema, se così vogliamo chiamarlo, rispetto alle altre criptovalute.
Tether può congelare i fondi, o meglio, può impedire a un certo wallet di interagire con Tether stesso. Tradotto in parole povere: Tether può bloccare ulteriori trasferimenti, anche dopo che questi siano avvenuti. [Qui spieghiamo in dettaglio cosa è avvenuto davvero]
Se il sequestratore ha il portafoglio B, che ha ricevuto una somma dal portafoglio A, Tether può intervenire e bloccare. Se il sequestratore ha trasferito verso un portafoglio C, Tether può comunque intervenire a bloccare.
Per le forze di polizia interagire con Tether è anche più semplice: non solo collabora, a fronte di prove e indagini, ma è anche interlocutore unico con il quale interfacciarsi. Un trasferimento bancario imporrebbe una serie di interventi di tutte le banche coinvolte, senza che si possa intervenire urbi et orbi e con tempi di reazione rapidi come quelli di Tether.
Il servizio di TGCOM di cui sopra avrebbe dovuto avere tutt’altro stampo: i rapitori rimangono senza un euro di riscatto perché hanno scelto Tether. Che non ha permesso loro di farla franca e che al contrario ha partecipato fattivamente alla gestione del fattaccio.