Editoriale

Bitcoin per aggirare le sanzioni? E se fossero Russia, Iran, Cuba e Corea del Nord a usarlo?

E se le prossime banche centrali a guardare a Bitcoin dovessero essere quelle dei paesi sotto sanzioni?
14 secondi fa
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Ci sono due questioni che vengono ignorate nel valutare il prossimo ciclo di Bitcoin, quello che potrebbe avere entità statali intervenire acquistando riserve. Sì, è vero che se ne sta parlando in Repubblica Ceca, negli USA (per quanto non sarà Fed a intervenire, nel caso) e che El Salvador lo sta già facendo. C’è però tutto un altro mondo, quello dei paesi che possono fidarsi meno del dollaro (dopo il caso Russia), che avrebbero vantaggi importanti a valutare un’allocazione in Bitcoin.

E che avrebbero vantaggi anche a disporre di una quantità di hashrate relativamente importante per il mining. L’amministrazione Biden, che si è appena conclusa, ha portato l’utilizzo del dollaro – e dei circuiti per scambiarlo – come arma a livelli che erano difficilmente immaginabili. E in un mondo dove anche l’accesso a certi circuiti è arma potente in caso di conflitto, i paesi non perfettamente allineati potrebbero pensare a una strategia B.

Non sarà un Plan B da far partire per apertura a Bitcoin, ma un piano di sicurezza per chi rischia di trovarsi fuori (a ragione o a torto non importa) dai circuiti monetari più importanti. E anche per chi non ha più la possibilità (o ha il concreto rischio di vedersi sequestrare) asset detenuti all’estero.

Il mondo è cambiato: Bitcoin può essere una soluzione per certi paesi

I fondi della Banca centrale Russa detenuti all’estero sono stati sequestrati a pochi giorni dall’inizio del conflitto in Ucraina. Quello che ci interessa non è il giudizio di merito sulla questione, ma un’analisi di quanto tecnicamente è avvenuto. La questione è stata dibattuta anche tra i filo occidentali e le opinioni sono delle più disparate. Non è però neanche questo il punto che ci interessa discutere, perché Criptovaluta.it® non si occupa di politica, non si occupa di conflitti e non ritiene che le opinioni personali della redazione sia di alcun interesse.

Il punto centrale è che tante banche centrali non allineate o in aperto conflitto con quello che viene chiamato il blocco occidentale non possono essere più sicure dell’affidabilità delle riserve detenute all’estero. E che senza un tot di riserve detenute all’estero non si cantano messe.

La politica del paese decide di entrare in conflitto contro il blocco occidentale (ancora una volta, torto e ragione sono completamente ininfluenti)? Il rischio è di vedersi congelare o sequestrare asset liquidi, oro e qualunque altro tipo di consistenza patrimoniale detenuta all’estero. Per le banche centrali non è una situazione tollerabile né gestibile. Bitcoin, e questo è il punto che si sostiene qui, è una delle possibili alternative. O comunque parte di una strategia per operare nel nuovo mondo.

  • Bitcoin come riserva

Non può essere confiscato. La Banca Centrale del Guerrastan ha certezza soltanto dell’oro custodito nel proprio paese e di poche altre cose. Gli asset presso altri mercati, l’oro custodito in forzieri altrui è a rischio.

Bitcoin no. Bitcoin può essere auto-custodito e anche il più grande degli eserciti del mondo non può metterci le mani senza ottenere le chiavi private.

  • Bitcoin per effettuare transazioni

L’altro aspetto degli ultimi conflitti che è andato a rinforzarsi è l’espulsione dei paesi non graditi dal sistema SWIFT, il che vuol dire non avere accesso di fatto al dollaro per i pagamenti internazionali. Le difficoltà di paesi come India e Russia a intrattenere commerci ha come principale difficoltà quello di trovare una valuta che vada bene a entrambi e che non causi squilibri. Lo stesso per qualunque commercio che riguardi, da almeno un lato, un paese che non ha accesso libero al sistema dollaro.

Anche qui Bitcoin può arrivare in soccorso. Qualcuno obietterà che gli USA potrebbero costringere i miner e le pool che operano nel suo paese a non includere certe transazioni da parte di indirizzi segnalati magari a OFAC.

È vero, ed è per questo che la soluzione completa dovrebbe prevedere la possibilità di produrre blocchi con una ragionevole percentuale di riuscirvi. L’1% dell’hashrate globale? Il 10% tenendo conto delle pool complessive fuori dagli USA e dai paesi occidentali? Tutto può essere. Per ora è certamente fantascienza, ma se fosse questa la prossima evoluzione geopolitica di Bitcoin?

Gianluca Grossi

Caporedattore ed analista economico. È divulgatore per blockchain, Bitcoin e criptovalute in generale. Solida formazione tecnica, si occupa del comparto dal 2015. Detenzioni: Bitcoin, Ethereum.

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