Un altro mondo è possibile. Di fronte al più grande hack/furto della storia dell’umanità, il mondo crypto ne esce, incredibilmente, meglio di come ne era entrato. Il caso era grande a sufficienza per mettere una pietra tombale su tutto il comparto: chi può fidarsi di un mondo dove possono volatilizzarsi 1,5 miliardi di dollari alla velocità della luce (o dei blocchi di Ethereum, in questo caso)?
Invece la risposta è stata immediata, competente, con padronanza di una situazione che avrebbe atterrato tutti. E che il mondo bancario avrebbe potuto risolvere in un solo modo: richiedendo l’intervento di chi ha soldi e potere quasi illimitati – e cioè il potere pubblico nella forma dello Stato.
Non è successo invece nulla di tutto questo: il CEO di Bybit, Ben Zhou, è salito subito in cattedra, ha preso in mano la situazione, ha comunicato a un pubblico correttamente dominato dal panico (mancano 1,5 miliardi di dollari di denari loro) e ha portato a casa, nel giro di 12 ore, una delle più grandi vittorie di sempre. Una gestione della crisi che anche competitor diretti e indiretti hanno definito come la più impressionante di sempre. Anche con la partecipazione notevole di altri player del settore, che a rigor di logica sarebbero concorrenti, ma che evidentemente hanno avuto piacere a rispondere a una chiamata in tempi più che brevi che ha permesso alla situazione di risolversi sul breve.
Un miliardo e mezzo di dollari sono una somma non indifferente. Un furto di questo livello atterrerebbe qualunque gruppo bancario del mondo e tutti tranne forse due o tre intermediari e exchange crypto. Oltre alla cifra oggettivamente mostruosa, c’è un post hack che aumenta – come una valanga – la forza dei problemi che si devono risolvere.
Come è naturale che sia, al diffondersi di una notizia di questo tipo, è partito il più classico dei bank run. Per chi non avesse dimestichezza con i termini del mondo della finanza: le persone corrono a prelevare, sperando di uscire prima dell’eventuale caos. Ben Zhou ha parlato di 350.000 richieste di prelievo. A 12 ore dall’evento ne erano state processate oltre il 100%, senza alcun tipo di problema, se non il naturale backlog, la coda che non può che formarsi con picchi del genere.
Un primo risultato, certamente impressionante, tanto da raccogliere consensi anche da altri operatori del mercato che sono anche concorrenti, vedi il messaggio di Paolo Ardoino, che oltre a essere a capo di Tether, è anche a capo di Bitfinex.
La solidarietà è stata molto più pervasiva e soprattutto decisiva per l’esito positivo del contenimento della crisi.
Bybit ha fatto fronte agli ammanchi – enormi – ricorrendo a prestiti da alcuni dei maggiori player del settore. Abbiamo descritto qui l’operazione, indicando anche perché sia stato il miglior modo di procedere. Senza però la risposta affermativa di partner che però al tempo stesso sono concorrenti, difficilmente si sarebbe potuti andare avanti.
Un plauso fa all’industria. Di certo sappiamo che Bitget ha partecipato con 40.000 Ethereum al prestito, come confermato dal CEO Gracy Chen:
Tutti i fondi erano, ovviamente, dalla tasca privata di Bitget. Non conosciamo i termini dell’accordo, ma è un impegno indubbiamente a sostegno non solo di una società con la quale ci sono buoni rapporti, ma anche un impegno a tutela dell’industria. E sarebbero stati forniti senza limiti temporali, interessi e/o collaterale.
Anche OKX ha offerto tutto il supporto possibile, sia con il suo team tecnico sia non è chiaro se con altri mezzi. Anche questo è un grande messaggio: quando un concorrente, soprattutto se delle proporzioni di Bybit è in difficoltà, ogni manifestazione di solidarietà deve essere considerata come non obbligatoria, e soprattutto che vale doppio perché anti-economica almeno nel breve periodo.
Tutto questo è accaduto – e sarà il prossimo punto di questo editoriale – senza ricorrere, come avrebbero fatto le banche, all’assicuratore di ultima istanza, ovvero lo Stato. Non è un punto da poco – ed è un punto che dimostra come industrie sane, anche senza il paracadute pubblico, possono fare bene, possono fare tanto e possono farlo soprattutto senza il denaro dei contribuenti.
È mancata da qualcuno – non sappiamo perché e non giudichiamo – con Binance che ha confermato che i fondi partiti dai suoi wallet erano in realtà di utenti e non dell’azienda.
È stata innegabilmente, al netto di qualche squalo che ha provato a peggiorare la situazione con qualche tweet mirato, un’ottima reazione di tutto il comparto o quasi. Una risposta che vale tanto, perché quando la controparte nel mondo degli adulti… ovvero le banche si trovano davanti a situazioni del genere, è al Ministero che vanno a piangere ed è sempre dallo stesso che ricevono eventuali fondi per coprire gli ammanchi e superare la bank run.
Aiuti che spesso non bastano e che risultano comunque in fallimenti, anche a catena. Una prova di forza del mondo crypto che in pochi – noi compresi – si aspettavano. Avanti così, anche in una crisi che rimarrà ben impressa nella storia di questo comparto.
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