Editoriale

Bitcoin catturato dall’IMPERO: per la stampa italiana il sogno di libertà è FINITO

10 ore fa
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Vittorio Macioce su Il Giornale affronta un tema invero assai caro anche ai bitcoiner duri e puri: cosa fare dell’interessamento della politica per Bitcoin? Cosa ne è stato di quel sogno anarchico – materiale per i continui sberleffi della stampa tradizionale? Cosa ne sarà di noi – avrebbe cantato Ferré – che siam l’1% eppure esistiamo?

Come coniugare la base filosofica di Bitcoin, la volontà prima di sottrarre denaro e canali di pagamento al potere costituito, con l’arrivo – a gamba tesa e con gran fanfara – della Casa Bianca nel comparto?

Le risposte, compresa quella di Macioce, sono tutte sbagliate. E questo perché – almeno ad avviso di chi vi scrive – sono le domande e l’intera struttura della discussione ad essere mal poste, sbilenche e fondamentalmente inutili. Può Bitcoin resistere, conservando la sua natura, anche all’arrivo del monopolista della forza più monopolista che esista, ovvero il governo degli Stati Uniti? La risposta breve è sì. Può resistere e anzi non ha nulla contro cui resistere. Per la risposta più articolata, vi toccherà proseguire la lettura ancora per qualche rigo.

Ora tocca a noi: gli Stati hanno davvero catturato Bitcoin?

Scrive Macioce che le rivoluzioni hanno sempre un destino beffardo. Dalle periferie e delle periferie – culturali e geografiche – si nutrono, salvo poi modellarsi su quanto desideravano combattere. Napoleone, ricorda sempre Macioce – che si fa incoronare dal Papa dopo averne combattuto il potere, temporale e spirituale, lungo tutta la sua traiettoria politica e militare. Per quanto sia lusinghiero il paragone con Napoleone, non è questo che siamo, non è questo che saremo, e non è questa la cifra distintiva di Bitcoin, e non è questo a condizionarne il funzionamento.

  • Nessun permesso

Bitcoin non ha promesso un club di anarchici, che avrebbe tenuto fuori dalla porta i suits, quelli vestiti eleganti vuoi per carriera politica vuoi per carriera finanziaria.

L’unica promessa di Bitcoin in termini di accesso è che tutti possono ottenerlo. Non vi sono registrazioni, non vi sono identificazioni, non vi è un controllo dello storico.

I troppo affezionati alla “politica” sono oggetto anche delle nostro burle

L’accesso a Bitcoin è così libero da essere permesso anche a soggetti sotto sanzione, criminali più o meno organizzati e più in generale il peggio che il nostro umanissimo mondo è stato in grado di produrre.

Possono accedervi anche i politici – in tanti lo hanno già fatto – e possono accedervi anche i monopolisti locali della forza, quelli che chiamiamo stati.

Anche gli stati devono sottomettersi alle regole “anarchiche” di Bitcoin

Bitcoin è anarchico, ma non per questo privo di regole. Ne ha poche, precise e impossibili da aggirare. Si può avere tutta la forza del mondo, si possono avere le Classe Nimitz, si può avere l’aeronautica più sviluppata del pianeta che le regole non cambiano. Per spostare BTC (o meglio le transazioni, ma è una questione più complessa e che per ora non ci interessa) serve firmare con delle chiavi.

Se si sarà inclusi o meno in un blocco lo decideranno i miner, scegliendo in genere per massimizzare il loro profitto.

Non c’è un numero verde né un direttore di Bitcoin da utilizzare per proteste più o meno veementi, per minacciare questo o quell’intervento nel caso in cui non si venga accontentati.

Questo vale per il ragazzino che in Gambia prova a comprare una Coca Cola con Bitcoin e per il pluripotente presidente degli Stati Uniti.

Il circo dei trader

Oltre alla confusione su quali siano le regole effettive di Bitcoin, c’è confusione e commistione anche tra due piani, quello del prezzo e quello del funzionamento di Bitcoin. Una confusione che è poi quella tra la rete Bitcoin e l’asset che vi viene scambiato.

Sì, sono arrivati i suits di cui sopra. Larry Fink di BlackRock lavora alacremente alla vendita di BTC, come se ne fosse diventato il capo dell’ufficio marketing. Ma Larry Fink, così come tutti gli altri giganti del mondo finanziario, stanno vendendo prodotti finanziari su Bitcoin per guadagnarne commissioni. Nulla di turpe, ma siamo comunque anni luce distanti dalla possibilità di controllare… Bitcoin nel suo funzionamento.

Hanno impatto sul prezzo? Pazienza. Bitcoin viene certamente da una filosofia anarchica, ma è quella squisitamente più americana dell’anarchia del libero mercato. E ogni libero mercato non può fare a meno del magico meccanismo dei prezzi. Se tutti possono comprare e tutti possono vendere, il prezzo di Bitcoin sarà determinato da chi compra e chi vende.

In nessuna parte del whitepaper vi è la promessa di stabilità di prezzo (contro cosa? Il dollaro USA?). E se una parte rilevante delle transazioni su Bitcoin sono oggi di trader e legate al trading non ci si deve stracciare nessuna cenciosa veste da anarchico. È il mercato, bellezza. Il grafico di cui sopra testimonia che i volumi su borse prestigiose come il CME sono importanti, ma non è questo il punto.

No, non lavoriamo per l’impero

L’articolo di Vittorio Macioce per il Giornale ha il merito di cogliere, per quanto solo in superficie, diversi degli aspetti cardine di Bitcoin. E chiude – ogni articolo dicendoci che noi anarchici abbiamo vinto contro l’impero diventandone organici.

Chiusura ad effetto, raccapricciante per chi crede di giocare ancora al metaforico bombarolo, ma che almeno ad avviso di chi vi scrive manca il bersaglio.

La lingua che utilizziamo ogni giorno ha un funzionamento simile a quello di Bitcoin: è basata sul consenso intorno a un certo set di regole. E anche se qualche nodo cerca di fare il prepotente (sì, Accademia della Crusca, parlo di voi), alla fine ciascuno è libero di dire ciò che vuole come vuole. Il massimo del rischio è quello di non farsi capire dagli altri.

Bitcoin ha un sistema di regole che è condiviso dai suoi utenti e i cui cambiamenti devono essere soggetti ad altrettanto consenso. Sarà un privilegio del mondo digitale, dove le armi contano fino a un certo punto, sarà che siamo diventati molto meno organici all’impero di quanto piace raccontare alla stampa, sarà che neanche il pur immenso potere di Donald Trump da queste parti non funziona per i motivi di cui sopra.

Sta di fatto che non ci sono stati tentativi di cambiare, poggiando sul monopolio della forza, le regole di Bitcoin da parte di alcuno. E un eventuale tentativo finirebbe probabilmente come il tentativo di Mustafa Kemal, durante gli anni ’20 e ’30 del secolo corso, di espungere i prestiti stranieri dalla neonata lingua turca moderna.

Sforzo titanico, portato avanti con l’enormità delle risorse di cui soltanto gli stati possono approfittare. Il risultato? Al 2005 – e non vi è ragione di credere che le cose siano cambiate significativamente – il 13% delle parole comunemente utilizzate sono di origine straniera. Oltre 6.500 dall’arabo, oltre 5.500 dal francese, oltre 1.300 dal farsi e oltre 600 dal nostro italiano. E tutto questo dopo uno sforzo importante da parte del padre della patria per i turchi.

Bitcoin non ha padri della patria: se qualcuno alliscia il pelo a questo o quel politico è per due ordini di motivi: il primo è per non essere infastidito (vedi gli attacchi al settore da parte dell’amministrazione Biden), dall’altro per i più materiali del comparto, per guadagnarne denaro. In entrambi i casi, il funzionamento di Bitcoin è più che salvo.

Gianluca Grossi

Caporedattore ed analista economico. È divulgatore per blockchain, Bitcoin e criptovalute in generale. Solida formazione tecnica, si occupa del comparto dal 2015. Detenzioni: Bitcoin, Ethereum.

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