Uno “scoop” di Reuters segnala l’utilizzo di criptovalute – nello specifico Bitcoin, Ethereum e Tether USDT nel commercio di greggio tra Russia, Cina e India. Una notizia, questa, che ciclicamente torna a occupare le prime pagine delle agenzie di stampa e dei giornali e che finisce per destare, sempre, un certo interesse.
Questi paesi starebbero – secondo fonti anonime citate da Reuters – utilizzando i circuiti crypto per aggirare così le sanzioni che il blocco occidentale ha imposto alla Russia, in particolare in termini di accesso ai circuiti standard del dollaro USA, valuta che rimane la preferita per certi tipi di commerci.
Per quanto la notizia sia interessante (ma non così nuova), c’è qualche aspetto della ricostruzione di Reuters che – come per i casi precedenti della stessa notizia – non sembra essere troppo vicino al vero e neanche al verosimile.
Cosa stanno facendo Russia, Cina e India?
Il problema è importante: le società russe che vogliono vendere petrolio verso Cina e India hanno problemi a farsi pagare in dollari. È una questione tecnicamente complicata e che però possiamo prendere per buona, date anche le forze politiche coinvolte. L’India avrebbe tutto l’interesse a inondare le casse russe di rupie, così come la Cina avrebbe interesse a espandere l’utilizzo dello yuan per questo tipo di transazioni. Interessi però che non convergono con quelli delle società russe.
Come risolvere la questione? Una parte – in verità minima come ammesso dalle stesse fonti citate – di questi negozi avverrebbe utilizzando Tether, ma anche Bitcoin e Ethereum.
Il meccanismo è semplice: devi pagare un tuo fornitore di petrolio in Russia e sei in Cina? Compri Tether, o Bitcoin in Cina, li invii alla controparte russa che poi li cambierà in ciò che preferisce (rubli o altro). Non esattamente un’organizzazione da servizi segreti o da grandi tessitori di trame, non senza qualche problema.
La cosa più curiosa dell’articolo pubblicato da Reuters è l’ordine con il quale vengono offerte informazioni relative a questo… caso. Si apre affermando che – si batte su Tether più che su altro – questi strumenti stiano vanificando gli sforzi bellici diretti e indiretti del blocco occidentale, citando fonti anonime che non possono essere ovviamente verificate. E fin qui potrebbe anche stare – data la necessità di proteggere certe fonti.
Manca però il chi (alcune società petrolifere russe? Quali), il dove, perché non sono stati neanche alla lontana identificati i “facilitatori” di questo traffico di denaro, il quando – perché manca ogni tipo di riferimento temporale. E manca anche il quanto, perché non si offre nessun tipo di stima. Ci si limita a una piccola parte del commercio di petrolio, ma in crescita.
Se da entità sanzionate, è una pessima idea
C’è un pezzo della storia che sembra mancare sia ai colleghi di Reuters sia a quelli nostrani che hanno ripreso la notizia. Di tutte le soluzioni che sono disponibili per spostare denaro digitale oltre i confini e oltre le sanzioni, Tether USDT rimane la peggiore.
L’emittente del token in questione infatti collabora attivamente con le autorità di tutto il mondo e soltanto la scorsa settimana aveva bloccato – ad esempio – gli USDT dei wallet di Garantex, crypto exchange russo sottoposto a sanzioni europee.
Tether USDT può essere infatti bloccato da remoto dalla stessa azienda e non è esattamente il migliore degli strumenti se ci si deve impegnare in traffici loschi o che comunque USA o UE avrebbero interesse a bloccare.
Discorso diverso per Bitcoin e Ethereum e altre criptovalute – che non possono essere bloccate da alcuno ma che comunque presentano problemi per il cosiddetto ramp on / ramp off – ovvero per tornare in valuta corrente. Servono exchange con liquidità e che exchange con liquidità riescano a operare nella massima tranquillità senza che arrivi la scure delle sanzioni – vedi quanto accaduto a Garantex – nutriamo più di qualche dubbio.
Come l’avrebbero chiamata gli americani… si tratta di un nothingburger – ovvero un hamburger ripieno di nulla. E questo non è per difendere Bitcoin e crypto – che essendo nel grosso dei casi sistemi incensurabili non possono essere sequestrati, ma il riconoscimento che in parte i loro obiettivi sono ancora irraggiungibili soprattutto per negoziazioni di volumi apprezzabili.