Editoriale

Bitcoin: lo SPONSOR di Larry Fink è una questione da 50 miliardi (e non di rimpiazzo del dollaro)

Larry Fink indica la luna, Bitcoiner e stampa guardano come sempre il dito. Ecco cosa ha detto DAVVERO.
5 giorni fa
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Anche la stampa mainstream ha riportato l’analisi di Larry Fink, capo di BlackRock, sulla possibilità che Bitcoin rimpiazzi il dollaro. Dato che il sensazionalismo la fa da padrone anche (e soprattutto) sulla stampa mainstream, sarà il caso di capire il perché di certe uscite del CEO di BlackRock e perché è più una questione che riguarda gli affari propri dell’azienda e il dollaro, che Bitcoin.

Saremmo i primi a rallegrarci di un atteggiamento cambiato, soprattutto da parte di chi ha un grande impatto sull’opinione pubblica finanziaria, su Bitcoin. E per quanto riteniamo anche noi che Larry Fink abbia in parte capito Bitcoin, siamo certi del fatto che la partita che sta giocando il buon Larry sia molto diversa.

Conservando il massimo rispetto per un personaggio che ha fatto la storia della finanza e degli investimenti, siamo costretti a ricordare a un pubblico poco attento – e per questo molto più facile da circuire, che gli interessi di Fink nell’intera questione sono ovvi. E che il messaggio lanciato nella sua ultima lettera agli investitori di BlackRock è un messaggio molto diverso da quello che è circolato sui giornali.

Bitcoin per rimpiazzare il dollaro

La frase incriminata va contestualizzata. Il dollaro si trova in una situazione non grave, ma comunque molto difficile, almeno in senso storico. Il debito pubblico degli USA è fuori controllo da un pezzo – e Larry Fink ha lanciato l’allarme più e più volte sulla necessità di tornare a ridurlo.

Gli USA hanno ricevuto benefici dal dollaro che è stato utilizzato come valuta di riserva mondiale per decenni. Questo però non è garantito che duri per sempre. Il debito nazionale è cresciuto 3 volte di più del PIL dal 1989, da quando è partito l’orologio di Times Square. Quest’anno, i pagamenti per interessi supereranno i 952 miliardi di dollari. Entro il 2030, le spese necessarie a livello governativo e gli interessi sul debito consumeranno tutta la raccolta federale [di tasse, NDR], creando un deficit permanente.Se gli USA non riporteranno sono controllo il debito, se il deficit continuerà a crescere, l’America rischia di perdere quella posizione contro asset digitali come Bitcoin.

Il discorso fatto da Larry Fink è proprio in questo senso. È concentrato sulla quantità di debito pubblico che gli USA continuano a accumulare (e che i dazi non risolveranno) – e che costa cifre folli in termini di interessi. In una situazione del genere, che mina la credibilità del sistema dollaro, Bitcoin non è un’alternativa perché è Fink a crederci, ma meramente un’indicazione del fatto che oggi le banche centrali e i sistemi monetari classici non devono più fare i conti soltanto con altre banche centrali e finanze pubbliche, in genere messe male (se non peggio) di quelle USA, ma anche, per la prima volta, con un asset senza padroni e senza emittenti.

Troviamo però piuttosto curioso che Fink eviti tutta l’altra parte della questione: la credibilità del dollaro a livello politico ha subito un forte colpo anche e soprattutto perché è stato brandito come un’arma nei conflitti più recenti. La Russia – non importa che la mossa sia stata corretta o meno – ne è stata estromessa con un colpo di penna e tanti paesi non allineati hanno capito che non vi è garanzia di continuare ad avere asset denominati in dollari senza problemi… in caso di conflitti o anche di piccole scaramucce di politica estera.

La cosa ha spinto banche centrali come quella cinese a rinunciare a una parte dei pur ottimi rendimenti dei bond USA a favore dell’oro. Una mossa che difficilmente è stata fatta con la testa del trader, ma piuttosto con la testa del paese che deve avere un’alternativa. L’oro – parlano i grafici, è e continuerà a essere la principale alternativa al dollaro come riserva, pur essendone molto diverso.

Quindi? Bitcoin non può farcela?

Non è questo il punto. È innegabile che Bitcoin ora stia giocando una partita con i grandi veri e che sia molto più credibile di quanto lo fosse soltanto pochi mesi fa.

Larry Fink però ha anche un enorme conflitto di interessi sul tema. È a capo della società che vende l’ETF su Bitcoin più popolare di sempre – ed è nel suo interesse andare a sponsorizzarlo, direttamente o indirettamente.

Senza dunque prenderci in giro, no, Larry Fink non crede in quella che gli appassionati di Bitcoin chiamano l’iperbitcoinizzazione. Crede piuttosto che la situazione negli USA sia grave sotto il piano del debito – e che qualcuno potrebbe anche guardare a Bitcoin. Ma il citare Bitcoin e non l’oro è stata una scelta più commerciale che… analitica.

Gianluca Grossi

Caporedattore ed analista economico. È divulgatore per blockchain, Bitcoin e criptovalute in generale. Solida formazione tecnica, si occupa del comparto dal 2015. Detenzioni: Bitcoin, Ethereum.

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  • a questo punto non ci resta che ricoprire d'oro il Bitcoin

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