Complici i dazi di Trump ed un quadro macroeconomico fortemente instabile, l’intero settore crypto soffre sul mercato mentre il benchmark Bitcoin registra un crollo dei prezzi sotto gli $80.000. Con gli indici azionari statunitensi in caduta libera, la situazione inizia a farsi pericolosa tanto da mettere in discussione la prosecuzione della bull run.
Il CEO di CryptoQuant ha affermato a tal proposito che, secondo i dati on-chain, Bitcoin potrebbe aver finito le cartucce rialziste da sparare in questo ciclo. In realtà però lo scenario complessivo è molto più complesso di quanto ci si possa immaginare.
In questo articolo cerchiamo di capire se veramente la bull run è terminata o se ci aspetta ancora una fase di rialzo bullish entro la fine dell’anno. Tutti i dettagli di seguito.
Secondo Ki Young Ju, co-fondatore e CEO di CryptoQuant, dopo il recente crollo Bitcoin si è giocato l’ultima possibilità di continuare la bull run. Ciò che preoccupa, osservando i dati on-chain, è l’aumento della capitalizzazione realizzata della criptovaluta in relazione alla stagnazione della capitalizzazione di mercato. Questo rapporto, come mostrato nell’indicatore “BTC: Grow Rate Difference”, evidenzia una fase di vendita molto elevata che solitamente accade durante le fasi di distribuzioni ribassiste. Secondo quest’ottica Bitcoin avrebbe terminato la sua fase bullish dell’attuale ciclo, e ora potrebbe continuare a perdere quotazioni nei prossimi mesi.
La metrica fornita da Ki riflette il rapporto tra il capitale effettivamente investito nel mercato e la reazione del prezzo a questi flussi. In pratica, monitora se i nuovi acquisti di Bitcoin riescono davvero a spingere il prezzo verso l’alto oppure no. Quando il rapporto è positivo, significa che la crescita di capitalizzazione sta facendo crescere il prezzo dell’asset, mentre quando è negativo significa che i capitali in ingresso non riescono a muovere terreno. In questo momento, il rapporto è in territorio negativo, il che indica che anche ingenti flussi di capitale non stanno producendo un effetto rilevante sul prezzo di Bitcoin. È un segnale chiaro di debolezza del mercato: la domanda fatica a superare l’offerta, e ogni tentativo di rimbalzo viene rapidamente neutralizzato da una pressione di vendita ancora più alta.
Il crollo dai $100.000 ha innescato un progressivo deterioramento della struttura di mercato, che oggi appare visibilmente appesantita. Chiaramente, la pressione di vendita potrebbe allentarsi in qualsiasi momento, ma storicamente, come riporta Ki, le inversioni reali richiedono almeno sei mesi per consolidarsi. Di conseguenza, in questo momento un rally a breve termine appare improbabile, salvo rare situazioni o eventi catalizzatori inaspettati.
Nonostante il pesante crollo del week-end che ha portato Bitcoin sotto gli $80.000, c’è la possibilità che il bottom non sia ancora stato raggiunto. Secondo la metrica della piattaforma Glassnode “BTC: Seller Exhaustion Constant”, siamo ancora lontani dal poter dire di aver toccato il fondo.
Questo indicatore prende in esame due variabili: la percentuale di offerta in profitto e la volatilità del prezzo su 30 giorni. L’idea alla base è che i minimi di mercato di Bitcoin tendono a verificarsi quando molti investitori sono in perdita e la volatilità è estremamente bassa. In quel momento i venditori si esauriscono, avendo già liquidato le loro posizioni, e il prezzo trova una base da cui poter ripartire.
Al momento i valori indicano che non siamo ancora arrivati a questa condizione ed il grafico di Bitcoin potrebbe subire un ulteriore crollo. La volatilità infatti resta alta, con una porzione significativa dell’offerta ancora in profitto. Tutto ciò implica che il mercato non ha ancora esaurito la sua sell-side, come accaduto ad esempio nei bottom di agosto 2023, dicembre 2022 e novembre 2018. In quelle occasioni, la volatilità era al minimo e la maggior parte del mercato in perdita.
Allo stesso tempo, questo scenario sembra frutto di una situazione in cui gli holders di lunga data continuano a mantenere saldamente le proprie posizioni. Come mostrato in una recente analisi on-chain, gli investitori long term stanno continuando ad accumulare. Questa fetta del mercato, storicamente più resiliente alle fluttuazioni di breve periodo rispetto ai retail, non sta vendendo. Anzi, la pressione di vendita sembra implicare un passaggio di denaro e un ricambio tra mani forti e deboli.
A differenza di quanto viene millantato erroneamente su Twitter, il crollo di Bitcoin dal suo ATH non appare così tanto esagerato. Secondo l’indicatore “BTC: Price Drawdown from ATH”, che analizza i cali storici della moneta dai suoi rispetti massimi storici, la situazione è in linea con quella dei precedenti bull market. Attualmente ci troviamo a circa -30% dal top dei $109.000, una percentuale che, storicamente, rientra perfettamente nelle correzioni tipiche durante i cicli rialzisti di Bitcoin.
Analizzando i dati passati notiamo che durante il 2013, 2017 e 2021 non sono mancate fasi di ritracciamento comprese tra il -30% e il -40%, senza che ciò abbia compromesso la struttura del trend di lungo termine. Addirittura a luglio 2021, prima dell’ultima leg up di Bitcoin fino a $69.000, la criptovaluta si trovava ad un drawdown di oltre il -52%. Nell’estate del 2013 la percentuale di crollo antecedente al nuovo ATH aveva anche sorpassato il -70%. Dunque anche in questa occasione la correzione in corso potrebbe rappresentare una pausa fisiologica del mercato, piuttosto che l’inizio di una fase ribassista prolungata.
Ovviamente questa lettura si scontra con un dato strutturale importantissimo: oggi la capitalizzazione di Bitcoin è molto più alta rispetto ai cicli passati. Un drawdown del 30% comporta l’uscita di capitali molto più consistenti, e muovere il prezzo richiede volumi ben maggiori. La crescita dell’asset ha ridotto la sua reattività, rendendo più difficile distinguere una correzione da un’inversione. Sulla carta dunque, siamo ancora in bull market, ma ora serve che arrivi qualcosa che possa riaccendere gli animi rialzisti.
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