Anche se i cittadini sudcoreani sono generalmente ben propensi nei confronti dalle criptovalute, lo stesso non si può certamente dire per i legislatori del paese, che continuano ad avvertire che la mania speculativa che circonda Bitcoin e i suoi colleghi sia “pericolosa”. Di qui, una stretta disciplinare che ha penalizzato il settore, e al quale numerosi governi guardano come “esempio” da valutare.
Gli investitori retail della Corea del Sud hanno a lungo avuto un’affinità spasmodica per le scommesse finanziarie. In tal senso, Bitcoin non ha certamente fatto eccezione, trovando terreno fertile in un Paese molto aperto alle innovazioni finanziarie.
Tra le valute tradizionali, solamente il dollaro USA è stato utilizzato più del won coreano per scambiare le principali criptovalute. Il won rappresenta oggi già più del 10% delle transazioni in Bitcoin, e in alcuni casi è il numero 1: si pensi a Ethereum – il secondo token digitale per valore di mercato. Il suo ruolo sembra però essere in parziale ridimensionamento, proprio a causa delle dure strette da parte dei legislatori.
Dopo aver messo al bando le ICO a settembre 2017, i legislatori sudcoreani sono intervenuti su tanti aspetti criptovalutari, come gli Exchange e il trading. E così, in attesa di avere un piano più ampio e omogeneo, le autorità stanno adottando misure settoriali per prevenire il riciclaggio di denaro sporco e le altre attività illegali. A partire dal 30 gennaio, il Paese ha ad esempio messo fuori legge i depositi in conti virtuali anonimi presso le banche e ha invitato gli Exchange a segnalare trader “sospetti”, compresi quelli che depositano o ritirano dai 10 milioni di won (circa 9,3 mila dollari) o più al giorno da depositi di criptovaluta.
Dinanzi a questi approcci il mercato delle criptovalute ha reagito con preoccupazione. La grande preoccupazione dei trader è principalmente legata alla chiusura degli Exchange, che renderebbe molto più difficile per i coreani (e non solo) acquistare le valute virtuali, frenando così la domanda di criptovalute.
Il governo sudcoreano è preoccupato principalmente dell’uso che le criptovalute potrebbero prestarsi a fare su riciclaggio di denaro, evasione fiscale e eccessiva speculazione finanziaria. Il primo ministro Lee Nak-yon si è persino spinto ad affermare che le criptovalute potrebbero “corrompere la gioventù della nazione”.
Anche se le regole non potranno che impattare pesantemente sulla facilità di trading, in realtà molti analisti ritengono che i trader riusciranno a trovare modi per continuare a comprare criptovalute, magari poggiandosi su Exchange che agiscono con piattaforme over-the-counter, o semplicemente facendo trading dall’estero.
Non è chiaro se la proposta del Ministero della Giustizia di chiudere gli Exchange verrà o meno approvata. I legislatori potrebbero esitare dinanzi a una crescente opposizione pubblica: una petizione ancora in corso ha già raccolto più di 200.000 firme. Proprio per questo motivo, l’ufficio per il coordinamento delle politiche governative del paese ha temporeggiato, affermando che approccerà a una decisione solo dopo “discussioni sufficienti” e un “coordinamento delle opinioni” tra i vari dipartimenti.
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