Come abbiamo già scritto qualche giorno fa, la resistenza degli exchange verso le richieste informali della politica è molto forte. Binance si è già rifiutato, con CZ che è salito in cattedra proprio a sottolineare come non ci siano gli estremi legali per un’operazione del genere.
Ora è il turno del CEO di Coinbase, ovvero Brian Armstrong, che ha espresso idee simili a quelle del leader di Binance, sottolineando inoltre come in realtà Bitcoin stia dando una grossa mano alle popolazioni falcidiate dal conflitto.
Ad ogni modo finché mancherà un ordine ufficiale l’exchange Coinbase – vai qui per aprire un conto gratis – tutelerà i wallet dei propri clienti, che siano russi o di qualunque altra nazionalità.
Non l’unico motivo per riconoscere la bontà di Coinbase, un exchange che fa della semplicità d’uso e del buoni listino di cripto punti di forza. E chi lo usa può pure partecipare alle periodiche campagne di Coinbase Earn, che permettono di guadagnare cripto gratuitamente rispondendo a delle semplici domande.
Il leader di Coinbase: “Non bloccheremo i wallet russi finché…
Il leader di Coinbase segue apertamente la linea che era stata anche degli altri CEO dei principali exchange di criptovalute. No al ban indiscriminato di tutti gli account di residenti in Russia o di cittadini russi. Una mossa draconiana che in realtà non è contenuta in nessuna legge o ordinanza e che è stata suggerita da diversi politici USA, in particolare da Hillary Clinton, non si capisce in realtà con quale autorità o quali basi.
Sul tema dunque interviene anche Brian Armstrong, sicuramente il più istituzionale tra i leader di exchange, che prende però la stessa posizione indicata dai colleghi.
Alcuni cittadini russi stanno utilizzando le cripto come ancora di salvezza, mentre la loro valuta crolla. È verosimile che molti di loro siano avversi a quello che il loro paese sta facendo e un ban li danneggerebbe.
Questo quanto riportato da Armstrong attraverso il suo account Twitter ufficiale, al quale però si aggiunge anche un altro commento degno di nota, ovvero che gli exchange operano in conformità con il regime di sanzioni e che dunque in caso di ordine valido per legge sarebbero costretti ad adeguarsi, come fanno già ora in realtà.
Exchange istituzionali: l’anello debole per l’imprendibilità di Bitcoin e cripto?
Sicuramente sì. Perché se si può essere d’accordo con questo giro di sanzioni ci sono altre questioni che la guerra in Ucraina ha reso evidenti, seppur ne discutiamo in realtà su Criptovaluta.it da tempo:
- Gli exchange sono realtà strutturate che possono resistere agli assalti estemporanei della politica
E questo è un ottimo segno, perché non sono in balia delle uscite di questo o quel politico a caccia di fama o che vorrebbe cavalcare eventi così tragici per farsi un po’ di pubblicità. Anche quando di mezzo c’è forse l’exchange più esposto, ovvero Coinbase, proprio perché quotato in borsa.
- Gli exchange di certe dimensioni non hanno alternative: devono rispettare la legge
E questo è un altro punto che, almeno da una certa angolazione, può essere ritenuto positivo. Tutte le ciance degli ultimi mesi, di un mondo cripto imprendibile e inafferrabile, che opera rigorosamente contro la legge, valgono quanto i personaggi che le pronunciano. Personaggi che spesso non hanno alcuna contezza di come funzioni il mondo di Bitcoin e delle criptovalute e che vogliono solo sfruttarlo per passare da integerrimi persecutori del malaffare. Gli exchange rispettano la legge, in particolare quando di mezzo ci sono questioni così importanti.
Per qualcuno – e lo capiamo – è fonte di preoccupazione. Ma rimane sempre la massima alla quale dovremmo informare le nostre vite di hodler se temiamo sequestri: not your keys, not your coins.