Le macchine cinesi tornano ad operare dopo il ban del governo (o forse non hanno mai smesso) che le avrebbe volute definitivamente fuori gioco esattamente un anno fa. Pechino sarebbe così di nuovo al secondo posto per attività di mining su scala globale, garantendo alla rete il 21,11% dell’hashrate totale.
Una dato che la dice lunga sulla solidità di un sistema che ha il dribbling alla censura nel suo DNA. Numeri che assumono ulteriore rilevanza se notiamo come al primo posto di questa non classifica ci siano gli States, con i singoli confederati che contendono la presenza in loco dei miners a suon di agevolazioni ed energia a buon mercato.
Il sogno arancione della Cina continua
L’attitudine tutta americana nell’offrire opportunità e risorse a chiunque voglia rendersi produttivo sembra non conoscere limiti, temporali né tantomeno geografici. Zio Paperone picconava le rocce nel Klondike alla ricerca di pepite. I miners fanno oggi lo stesso, estraendo ricchezza da una blockchain lenta, energivora ma evidentemente remunerativa, oltre che necessaria alla sicurezza della rete.
Sicurezza che noi occidentali diamo per scontata, cosa che invece non possono dire i nostri concittadini nativi cinesi. Lì non si scherza, soprattutto col governo, che nel maggio del 2021 aveva intensificato la stretta nei confronti dei miners, costringendone molti all’esodo.
A quell’epoca il paese orientale poteva vantare un’hashrate di tutto rispetto: il ban delle autorità centrali causò un calo della potenza computazionale globale stimato nell’ordine del 50% tra lo scorso maggio e lo scorso luglio. Nonostante questo la rete Bitcoin ha continuato a garantire piena operatività, dando chiara dimostrazione della sua endogena resistenza ad attacchi e censura.
Torniamo ai cinesi, che nel frattempo si erano spostati in paesi più tolleranti nei loro confronti. Mete preferite Kazakistan e Stati Uniti, pronti ad ospitare a braccia aperte gran parte della potenza computazionale in fuga dall’estremo oriente.
Ora la situazione sembra essere cambiata: in Cina qualcuno ha riacceso parte delle macchine ferme da circa un anno, permettendo al paese di garantire un significativo 21,11% di hashrate nonostante la censura ancora in corso. Chi pensava di poter fermare Bitcoin con un atto antidemocratico probabilmente dovrà rivedere i suoi piani. O forse è lo stesso che sta facendo mining, perché il dubbio è che siano in realtà molti tra dipendenti statali e papaveri di partito con il gusto per l’estrazione di Bitcoin.
Ai regimi non piace Bitcoin
Quello cinese non è stato l’unico caso di attacco alla rete da parte di autorità centrali. Anche l’Iran ha in passato disposto sequestri di macchine, salvo poi ravvedersi completamente, approvando pagamenti in bitcoin e criptovalute. Per poi tornare ad attaccare i miner data la complessa situazione energetica del paese.
La blockchain per eccellenza è finita anche nelle mire di organizzazioni del calibro di Greenpeace, resasi autrice di un grottesco attacco finito poi in un clamoroso buco nell’acqua. Continuando in ordine cronologico, è piuttosto fresca la notizia della svolta ambientalista di Wikipedia, che non sapendo con chi prendersela ha puntato l’IBAN, pardon il dito contro Bitcoin.
Al netto degli attacchi che poi nella totalità dei casi si sono rivelati strumentali quando non spudoratamente pilotati da parte di questa o quell’altra lobby, l’attività di mining continua evidentemente ad essere appetibile soprattutto laddove l’energia elettrica ha costi bassi e alta disponibilità.
Anziché contrastarla, alcuni governi potrebbero provare a sfruttarne le potenzialità. Basti guardare a El Salvador e alla sua recente storia di rinascita, dimostrazione che Bitcoin può innescare fattivamente processi virtuosi di sviluppo economico, sociale e culturale.
Buongiorno a tutti. Progetti importanti attorno alle criptovalute nascono ogni giorno e probabilmente ne beneficeremo in futuro. Il cripto market è giovane e attualmente non si sa come è legato in modo importante al mercato dei titoli tech e soprattutto attaccato dai detrattori di turno. Bitcoin sta dimostrando ancora forza nonostante le dichiarazioni di W. Buffett. Probabile che vedremo ancora scendere il valore del token che per riprendersi secondo me ha bisogno del ritorno della fiducia dei retail. Ma statene certi che a questi prezzi sicuramente gli istituzionali riempiranno i loro portafogli e i retail ritorneranno quando ormai sarà troppo tardi. Bitcoin ritornerà sui suoi massimi l’unica incognita sarà il tempo.
Buona giornata