71 milioni di dollari di profitto. Questa è la cifra con cui Binance ha chiuso il suo primo trimestre del 2019, secondo i dati appena rilasciati dall’azienda stessa; rispetto all’anno scorso fa segnare un +66%, di fatto un aumento maggiore di quello delle principali criptovalute. Se è vero che Bitcoin, ad esempio, ha vissuto un buon periodo negli ultimi tre mesi, la sua crescita si ferma ad un +25%. Nei prossimi giorni usciranno i report trimestrali di molti altri grandi exchange: la sensazione è che dai rialzi delle crypto ne stiano giovando più le piattaforme di scambio che i token veri e propri.
L’exchange sembra dunque avere soltanto buone notizie per sé, anche quando ne porta di cattive per altri come nel caso di Bitcoin SV.
Più volte siamo tornati a parlare, come del resto la stampa di quasi tutto l’ecosistema dell’economia decentralizzata, del potere crescente degli exchange. In primo luogo per quante funzionalità e quanti token sono in mano a queste realtà; in secondo luogo, forse ancora più importante, per il peso economico enorme che hanno nel mercato. Questi 71 milioni di dollari sono soltanto una goccia nell’oceano dei profitti complessivi di tutte le piattaforme simili a Binance, per quanto questo sia il servizio più popolare del suo genere.
Andando con ordine, la prima cosa che gli exchange hanno fatto per non essere dei semplici cambiavalute è stata introdurre il servizio di walleting. Per quanto sia notoriamente pericoloso mantenere i propri token qui anziché su un hardware wallet, rimane ancora una scelta molto popolare. Poi sono state introdotte le risorse formative, i servizi appositamente pensati per gli speculatori, le fondazioni di beneficenza ed infine anche le criptovalute brandizzate dagli stessi exchange.
Ad oggi, con 71 milioni di dollari si può fare molto per influenzare i rapporti di forza tra le criptovalute. Specialmente le altcoin: al momento, la 79esima al mondo per capitalizzazione ha un cap totale di 72 milioni di dollari. Significa che Binance potrebbe lanciare un nuovo token domattina, capitalizzandolo con i profitti di un singolo trimestre, ed avere in mano uno dei top 100 token al mondo. Non è poco, specialmente considerando che l’utile trimestrale è soltanto una delle diverse fonti di liquidità in mano all’exchange.
Sebbene la community delle criptovalute nasca per essere democratica e centralizzata, il potere è sempre più accentrato nelle mani di poche realtà con le tasche molto profonde. Binance è una di queste, ma ci sono anche tanti altri exchange e wallet online che hanno le carte in regola per poter influenzare il mercato. Non solo: quando il valore delle crypto diminuisce gli exchange guadagnano commissioni dai volumi di vendite, mentre quando il loro valore cresce guadagnano commissioni dai volumi di acquisti. Le spese di queste aziende sono molto contenute rispetto al loro fatturato, quindi è difficile pensare che gli exchange possano soffrire di problemi economici. Quando anche Bitcoin ha raggiunto il suo minimo del 2018, non c’era motivo di preoccuparsi per il team di Binance.
Questa posizione privilegiata da cui osservare il mondo dell’economia decentralizzata è pericoloso. Agli exchange potrebbe, prima o poi, non interessare più la vendita di token che non sono di loro proprietà. In questo modo minimizzerebbero il ruolo delle ICO e massimizzerebbero il loro potere economico e decisionale. Questa ipotesi, per quanto ancora lontana, prende piede sempre di più.
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