Cryptopia, un exchange di criptovalute con sede in Nuova Zelanda, ha annunciato l’interruzione dei propri servizi di trading e la conseguente messa in liquidazione. Certo, non si tratta di una delle borse più note del mondo, ma la bandiera bianca sollevata da Cryptopia è, in fondo, un altro tassello in un mosaico in formazione, che suggella le crescenti difficoltà degli exchange, spesso alle prese con attività finanziariamente insostenibili.
Il nome di Cryptopia era diventato noto già ad inizio 2019, quando annunciò che – a causa di una difficoltà nei propri sistemi di sicurezza, tale da favorire l’apertura di una grossa falla – milioni di dollari di criptovalute furono rubati dagli hacker.
Nonostante la perdita, il management decise di andare avanti rassicurando i propri investitori: avrebbe tagliato i costi operativi e favorito il ritorno alla redditività, assorbendo la perdita straordinaria conseguita in seguito a tale sopravvenienza.
Evidentemente, però, i piani del top management di Cryptopia non sono serviti a rilanciare le aspettative della compagnia, arenatasi – come molti altri concorrenti in tutto il mondo – sugli eccessivi costi caratteristici delle proprie attività.
Non sfugge poi che, poco prima dell’annuncio, l’exchange è andato fuori servizio per diverse ore, mentre il sito internet ufficiale avvisava gli utenti di una temporanea manutenzione. Una manutenzione che, tuttavia, non era veritiera: l’operatore si stava preparando a chiudere i battenti.
I liquidatori della società, David Ruscoe e Russell Moore della Grant Thorton, dovranno ora cercare di cedere gli asset aziendali per poter ripagare i debiti e, secondariamente, ripagare i partecipanti al capitale dell’azienda.
Ancora prima, i liquidatori contatteranno clienti e fornitori tenendoli aggiornati delle evoluzioni delle proprie iniziative di dismissione degli asset societari.
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