La Cina ha annunciato un piano biennale di sviluppo legato al metaverse. Tra il 2022 e il 2024 verranno promosse tecnologie e applicazioni che si concentreranno prevalentemente su turismo e istruzione.
Pechino guarda con interesse anche ai Non Fungible Token, dimostrando un’apertura alle tecnologie derivate dalla blockchain ma anche un atteggiamento controverso nei confronti delle criptovalute, dopo il ban governativo del 2021 che causò un vero e proprio esodo di miner verso Paesi più ospitali.
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Cina e Web3, quella strana coppia. La posizione di Pechino nei confronti di Bitcoin e criptovalute più in generale continua a far registrare cambi di passo, umori e tendenze all’apparenza discordanti. Oggi ad esempio apprendiamo del Piano d’azione per l’innovazione e lo sviluppo del Metaverso del sottocentro urbano di Pechino 2022 – 2024, dando per buona la traduzione di Google del documento governativo destinato a tutti i distretti della capitale.
Al netto di interpretazioni dal cinese, complicate anche per il colosso di Mountain View, l’intenzione del governo è chiara: il metaverso è al centro di un piano di sviluppo che durerà due anni, e che si concentrerà principalmente su turismo e istruzione.
Il programma si articola su più punti, e sempre dal documento originale si leggono parole quali 5G, cloud computing, sicurezza, blockchain, Internet of Things, realtà virtuale, animazione 3D e via discorrendo.
Dal lungo (e burocratese) piano d’azione tuttavia si evince come tutti i distretti siano chiamati a promuovere partnership tra aziende del settore e istituzioni scolastiche, per sviluppare l’insegnamento a distanza e il proliferare di classi interattive. Un punto sul quale il governo batte con una certa insistenza, nel più ampio piano che prevederebbe la creazione di una versione digitale della capitale, e che sembrerebbe mostrare un’apertura ad aziende che operano in ambito NFT, sempre più numerose nel Paese.
Segnali di apertura alle criptovalute in senso più ampio? Al momento non ci è dato saperlo. L’atteggiamento di Pechino verso il comparto è da sempre ostico, come dimostra il ban di maggio 2021 che ha causato un brusco calo dell’attività di mining nel Paese.
I miner costretti all’esodo hanno trovato rifugio sicuro in regioni più tolleranti, Dubai in primis, che non ha perso tempo nel fare incetta di menti e tecnologie provenienti anche da altre nazioni come l’India. Ed è proprio l’emirato a cui Pechino dovrà rivolgere la sua attenzione, nel progettare la propria espansione in chiave metaverse.
I piani di Hamdan bin Mohammed in questo senso sono chiari e faraonici: Dubai Metaverse Strategy porterà all’emirato oltre 40.000 posti di lavoro da qui ai prossimi 7 anni, col sovrano pronto a mettere le mani su una fetta importante dell’indotto generato dal metaverso.
Un indotto stimato in circa 5 trilioni di dollari entro il 2030 su scala globale. Le cifre avranno sicuramente raggiunto anche i vertici di partito: siamo sicuri che a Pechino si stia pensando solo a uno sviluppo in chiave turismo e istruzione, come il vicino Giappone insegna?
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