YellowHeart sta compiendo una piccola rivoluzione nel settore della musica in streaming legata ai token non fungibili. Quello che si configura come il primo NFT Music Streaming Player sul mercato sembra aver trovato la formula vincente per sfidare colossi come Apple e Spotify.
Un moderno Davide che riconosce agli artisti gran parte degli introiti ad essi riconducibili, contro i Golia dell’industria discografica che intascano avidamente quasi tutto il fatturato. Interessanti anche le soluzioni tecniche introdotte dalla piattaforma. I musicisti indipendenti, però, sono al momento fuori dai giochi.
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Quelli di YellowHeart hanno avuto la pandemia dalla loro parte. Nei lunghi e monotoni pomeriggi di isolamento forzato, Josh Katz e soci hanno sviluppato un player al quale poter dare in pasto brani musicali e NFT di diversa natura.
In realtà una tecnologia del genere non è una novità assoluta, ma ai fondatori di YellowHeart va riconosciuto il merito di aver reso il sistema perfettamente funzionante, libero da problemi tecnici tipici di piattaforme simili e sui quali per ora non ci soffermeremo.
Torniamo quindi ai nostri eroi: fondate su blockchain le basi tecniche per un futuro successo, non rimaneva che garantirsi un buon numero di contenuti per iniziare ad aggredire il mercato. E i contenuti, si sa, arrivano dagli artisti: come attrarli? Domanda semplice e risposta scontata: i musicisti presenti sulla piattaforma si mettono in tasca la maggior parte degli introiti, mentre a batter cassa in quel di Spotify o Apple Music ricaverebbero ad andar bene 0,005 centesimi per stream.
Che Josh Katz e compari abbiano imboccato la strada giusta sembrava così evidente. Non rimane quindi che iniziare a intascare Ethereum e altre cripto sulla scorta di quello che sembra essere il piano perfetto, ma con riserva: vediamo perché.
Utilizzando il wallet proprietario YellowHeart, Metamask o Coinbase è possibile pagare in criptovalute, ma la piattaforma non disdegna nemmeno transazioni con carta di credito. I soldi insomma sono sempre ben accetti, soprattutto se a guadagnarne sono i circuiti tradizionali.
Quelli cioè della musica mainstream, e qui veniamo alla nota stonata del piano di Katz. A quanto ci riferiscono accreditate voci di settore, i fan lamentano il mancato supporto a scene musicali underground e artisti indipendenti. A loro consigliamo di farsi un giro nella $LAND di The Rocking Uniquehorns, collettivo musicale con base su Decentraland che offre volentieri un microfono a musicisti fuori dal giro che conta.
Accogliamo e giriamo volentieri la critica che arriva dai musicofili più accaniti, perché fedeli allo spirito Bitcoin siamo convinti che una sostanziale decentralizzazione dell’industria musicale non possa che far del bene all’intero settore, portando alla luce miriadi di artisti altrimenti destinati all’oblio o a sparute nicchie al di fuori dei circuiti principali.
Giriamo la critica a quelli di YellowHeart, cui però va anche il merito di aver messo in piedi un progetto più che valido.
Quando ho iniziato a sviluppare la piattaforma, ben prima della pandemia, il mio obiettivo primario era quello di far conoscere i NFT ad artisti e industria discografica. Anche i fan andavano educati in tal senso, perché i Non Fungible Token legati ai brani musicali non sempre sono ben digeriti dagli appassionati. Mi auguro che si arrivi presto a un’adozione di massa: i fan non tarderanno ad apprezzare i vantaggi di tale tecnologia.
Josh Katz si riferisce in chiusura alla possibilità di ottenere, insieme a brani e album, anche vantaggi e oggetti da spendere nella vita reale come biglietti NFT per concerti, merchandising ufficiale, CD e dischi in vinile. In attesa di un’apertura a musicisti di nicchia, vanno a lui e al suo progetto i nostri auguri (sempre con riserva).
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