Altra pesante milestone posta dall’Iran sulla rotta che il Paese ha tracciato in direzione criptovalute e finanza decentralizzata. Dopo l’apertura a crypto asset per le transazioni internazionali, il governo scrive un altro importante capitolo di un più ampio e delicato quadro normativo.
Il regolatore ha affrontato il tema delle licenze per aprire in maniera definitiva ai miner, una volta sciolto il nodo dei consumi energetici. È ora possibile estrarre criptovalute in maniera legale, dopo aver conseguito due distinte autorizzazioni da parte delle autorità.
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S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo; s’i’ fosse cripto, lo minerei. L’Iran come moderno Cecco Angiolieri sembra volersi burlare dei modelli occidentali, in cui tutto è tollerato, finanza decentralizzata e unioni gay comprese, e utilizza le sue stesse metriche per uscire dall’isolamento in cui le politiche internazionali l’hanno relegato. Il Paese che punisce con la morte i rapporti tra persone dello stesso sesso, punta ora DeFi e criptovalute per smarcarsi dai vincoli delle sanzioni occidentali. Chiusa la doverosa (per chi scrive) critica.
L’Iran ha iniziato a regolamentare in maniera fattiva e a una velocità invidiabile persino per i nostri efficientissimi apparati burocratici occidentali. Siamo sul pezzo da un po’ e oggi vi diamo l’ultimo aggiornamento di una vicenda a cui va riconosciuto il peso che merita.
La Repubblica islamica presidenziale teocratica (brividi) iraniana ha rilasciato l’ok definitivo per le attività di crypto mining, previo conseguimento di due licenze: una operativa, e l’altra cosiddetta di stabilimento, volta cioè a identificare e censire i miner in attività.
È quindi consentito minare Bitcoin e criptovalute, e utilizzare gli asset per onorare le transazioni internazionali in luogo di valute fiat. L’ente preposto a vigilare sugli operatori e a regolamentare in materia è la banca centrale, ma secondo Mohsen Rezaei Sadrabadi ci saranno aperture a riguardo.
Il segretario del gruppo che si occupa di valute digitali è convinto che per regolamentare efficacemente ci sia bisogno di un approccio multidimensionale, vista l’eterogeneità intrinseca del comparto. Un atteggiamento che dimostra apertura e idee chiare, a dispetto della tara culturale endogena del Paese, e su cui non c’è bisogno di ripetersi.
Idee chiare e un approccio analitico anche quando è stato il momento di affrontare gli aspetti legati al consumo energetico: la blockchain, si sa, è energivora per natura, e un’ok alle attività di estrazione su larga scala avrebbe potenzialmente portato al limite dell’operatività le infrastrutture locali.
Il problema sembra sia stato risolto concedendo in prima battuta un numero limitato di licenze, per poi aprire progressivamente alle richieste che stanno arrivando presso l’apparato burocratico preposto. Non abbiamo dettagliati al momento, ma a naso non si tratta di poca roba, considerando che nel 2021 il Paese deteneva il 4,5% del mining Bitcoin globale, secondo le stime di Reuters.
Preciso e dettagliato è invece il quadro normativo messo in piedi dalle autorità, riportando le dichiarazioni del ministro dell’industria, delle miniere e del commercio, incaricato tra l’altro di rilasciare le licenze. Stiamo parlando di Reza Fatemi Amin, l’uomo a cui si deve la legge che regolamenta l’utilizzo dei crypto asset e che di recente aveva annunciato l’apertura ufficiale del Paese nei confronti del comparto.
Una figura chiave all’interno della macchina istituzionale locale, che continueremo a osservare da vicino in attesa di maggiori dettagli sul piano normativo. Cosa che potrebbe anche mettere fine ai diversi blackout che il paese ha sperimentato in passato e che, erroneamente, erano stati imputati al mondo del mining.
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immagino sarà al 90%, che dico, 99%, da energie rinnovabili
Solo perché l'Iran sia un paese bigotto non significa che non possa diventare un paradiso crypto.
D'altronde il loro gemello teocratico "buono" (perché nostro alleato) dall'altra parte del Golfo Persico, cioè l'Arabia Saudita, è finito molte volte nelle news di importanti innovazioni crypto nonostante sia molto più bigotto e illiberale.
L'Iran ha anche più ingegneri di alta qualità ed un livello di libertà imprenditoriale pari o superiore rispetto alla monarchia dei Saud che io sappia.
Questo è per dire che la correlazione tra livello tecnologico, industriale e scientifico e diritti civili è solo un pregiudizio dei progressisti occidentali che non ha riscontri nella realtà osservata sia lungo il tempo che lo spazio.
Giusto per fare un altro esempio (che non ha nulla a che vedere con il Medio Oriente ma c'entra coi diritti LGBT che sembrano stare a cuore all'autore) possiamo citare le tigri asiatiche, Hong Kong, Singapore, Taiwan e Corea del Sud a cui aggiungiamo il Giappone.
Tutti questi paesi sono indubbiamente i più avanzati al mondo nella tecnologia e nel tenore di vita per i propri abitanti, superando anche Europa, America e Australia in tantissimi indicatori, eppure sono Taiwan ha il matrimonio omosessuale, e solo per via delle pressioni USA (il referendum popolare lo aveva bocciato). Inoltre fino a pochi giorni fa Singapore penalizzava i rapporti omosessuali nel proprio codice penale.
Potrei fare molti altri esempi ma dovrebbe essere chiaro che la correlazione tra progresso materiale e progresso nelle libertà è debole se non inesistente.