Sony Music ha presentato domanda per depositare il logo Columbia Records, etichetta scelta dal gruppo per esplorare l’emergente settore della musica su metaverse. A rivelarlo come da prassi è Mike Kondoudis, avvocato specializzato in marchi e punto di riferimento per brevetti on chain.
La label andrà così a sondare il mercato dei NFT, tecnologia sempre più in uso nel settore discografico e che sta rivoluzionando dinamiche di mercato e modalità di fruizione. Sony Music Entertainment cala l’asso per rispondere a realtà indipendenti che dal basso stanno aggredendo un comparto tradizionalmente monopolizzato dai soliti big.
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Sony pronta a fare il suo nel mondo dei metaverse?
Molto probabilmente stiamo assistendo alla seconda Rivoluzione digitale che il comparto discografico sta attraversando. La prima fu guidata dai ribelli del peer-to-peer, la seconda sotto l’egida dei NFT sta scuotendo gli equilibri di un mercato fino a ieri destinato a far ingrassare i soliti nomi. Il tutto, nel giro di un ventennio o poco più.
E come in ogni Rivoluzione che si rispetti, tra una sommossa e l’altra non poteva mancare nel mezzo un tentativo di Restaurazione: per capire a che punto siamo urge riavvolgere il nastro. Tasto REW per tornare ai tempi di LimeWire, pirata amato dai musicofili e nemico giurato dell’industria discografica.
Il progetto, nato bene e artefice di un primo terremoto che ha rischiato di rompere il grasso calderone da cui etichette e magnati della musica attingevano a piene mani, potè contare su un potente alleato. Stiamo parlando di Napster, omologo servizio peer-to-peer che a un certo punto l’ha fatta grossa. Talmente grossa da far incazzare e (non incassare) i Metallica, che spinti dal richiamo di Cthulhu hanno fatto in tribunale un sol boccone di sito e pirateria musicale.
Giochi chiusi per gli abusivi e che si dia il via alla Restaurazione: i tempi sono maturi per far attecchire i nuovi paradigmi della distribuzione in streaming. Un sistema in cui a massimizzare gli introiti sono di nuovo le etichette, e che lascia le briciole agli artisti. Esattamente ciò che accadeva con cassette e CD, ma stavolta on line, con gli utenti felici di comprare musica a prezzi più bassi del periodo pre-Rivoluzione.
C’è da ammetterlo, l’hanno architettata bene: magnati sempre più grassi, popolino contento e anestetizzato a suon di playlist a buon mercato. Tutti contenti tranne gli artisti, che con le condivisioni social non ci pagano le bollette ma possono sperare al al massimo in un ricavo di 0,005 centesimi per stream, come il caso YellowHeart ci insegna.
Brevetti che vogliono dire molto
Citiamo le gesta di Josh Katz e soci (aprite il link precedente) per inquadrare il contesto nel quale Sony sta cercando di affacciarsi. La storiografia musicale in opera ci dice che siamo lì lì per uscire dal ventennio, con la Restaurazione che deve fare oggi i conti con la blockchain, e con le major che per evitare un nuovo disastro tentano di abbracciare la stessa tecnologia che sta rischiando di metterle, ancora una volta, in seria discussione.
Ed ecco che a questo punto la storiografia ci propone un grande ritorno, quello del messaggero: è sempre Mike Kondoudis a dirci cosa stanno architettando in casa Sony Music Entertainment, per prevenire danni e tentare di monetizzare on chain quanto e più dei progetti indipendenti che nascono e si sviluppano alla velocità della luce.
L’azienda ha presentato domanda per brevettare il marchio Columbia prevedendo l’utilizzo nel metaverse e dintorni, con gli immancabili Non Fungible Token a comporre una più ampia ricetta che prevede lo sfruttamento degli artisti e della loro opera secondo i nuovi paradigmi generati dalla diffusione della blockchain al servizio della musica.
Scenari in cui la grande industria discografica deve necessariamente rispondere presente, e che, ci piace immaginare, lasceranno sempre più spazio e introiti agli artisti, meglio ancora se indipendenti, come dimostra l’iperattiva produzione di Steve Aoki che nel suo A0K1VERSE non manca di deliziare i fan con concerti a cadenza quasi settimanale.