Ennesimo attacco di Greenpeace ai danni di Bitcoin, accusato di essere fuori moda da quando Ethereum ha finalmente completato il merge. Attacco che arriva guarda caso proprio nel giorno in cui il sistema di Vitalik Buterin passa a PoS per diventare un protocollo green.
Il rapporto d’amore tra la seconda criptovaluta per capitalizzazione e la più grande associazione quasi ambientalista al mondo esce così allo scoperto, con una palese operazione pubblicitaria su larga scala che in tempi di greenwashing trova un pubblico già sensibilizzato e pronto a recepire il messaggio. I dati sull’impatto ambientale di Bitcoin però dicono altro.
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Una nuova storia d’amore tra gli ecologisti ed Ethereum
Hanno aspettato il merge per urlare ai quattro venti il loro amore. Con Ethereum diventato ufficialmente verde, il carrozzone delle navi (a gasolio) in difesa dell’ambiente esce allo scoperto e loda in pubblica piazza la seconda criptovaluta sul mercato.
Visto che Ethereum ha ridotto drasticamente il suo impatto ambientale, i gruppi in difesa dell’ambiente hanno aumentato le pressioni su Bitcoin affinché potesse competere con Ethereum sul fronte delle prestazioni ambientali.
Fonte: il comunicato stampa ufficiale con cui Greenpeace salutava pubblicamente il passaggio di Ethereum a PoS, esaltando il calo di consumi quantificabili nell’ordine del 99,5%.
Ma facciamo attenzione ai particolari: nel primo paragrafo si sottolinea come Ethereum sia la seconda criptovaluta sul mercato. Già, perché Bitcoin è la prima per distacco, e a quanto pare il gap è talmente ampio che solo un’opera di erosione del consenso alla base potrebbe (forse) nel tempo portare ad accorciare le distanze. Campa cavallo, che l’erba è buona… però è proprio questo che stanno cercando di fare i signori della pace verde, e in maniera per niente velata.
Ma perché, tutto questo? Per il pubblico. Ci avete fatto caso? Ultimamente in TV si vedono spot in cui le più disparate aziende concludono il loro (costosissimo) spazio pubblicitario con messaggi del tipo: azienda carbon neutral, con Polygon a fare d’esempio lampante, o a impatto zero, o con emissioni inquinanti totalmente compensate. Soprassedendo sul sistema che permetterebbe, pagando, di essere considerati a zero emissioni di Co2, concentriamoci ora sul pubblico.
Bitcoin non compra niente, grazie
Addomesticato sui media mainstream, il pubblico è pronto a recepire buono quanto viene fatto passare per green, e cattivo quanto invece non lo è. A prescindere, e il più delle volte senza senso. Anche se non ha idea di cosa significhino quelle dichiarazioni che campeggiano sul 65 pollici in salotto. Anzi, meglio se non sa che essere carbon neutral vuol dire in molti casi pagare una fee per le emissioni della propria azienda, acquistando il diritto di farla passare come amica dell’ambiente: greenwashing allo stato dell’arte.
È in questo contesto che va in scena l’ennesima sparata di Greenpeace nei confronti di Bitcoin, che come accennavamo arriva proprio nel momento in cui il passaggio di Ethereum a PoS viene sancito dall’ufficialità del merge.
L’operazione non ha mancato di scatenare reazioni contrastanti, e ben venga in un quadro pluralista, con i mercati che non hanno tardato a dire la loro, anche se con toni che forse alle orecchie del buon Vitalik Buterin saranno suonati stonati.
Operazione che di contorno ha dato modo alla stampa italiana di mostrare tutta la sua incompetenza, sia nel merito che nei termini, cascando in un tranello che abbiamo avuto il piacere di sbugiardare agli occhi dei colleghi di tutto il mondo.
Operazione che, sin dal principio, aveva fatto da assist al solito attacco-marchetta da parte di Greenpeace che vedeva in quel 99 e passa% la risoluzione ai problemi ambientali del mondo, e insieme il grimaldello su cui punzecchiare Bitcoin agli occhi dell’opinione pubblica.
Se Change the Code prima sembrava il biglietto di ingresso nel sistema per Ethereum, la notizia di oggi è la conferma. Un solo accorgimento: quando si parla di dati, citiamoli tutti, e per esteso, tanto per completezza d’informazione.