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Bitcoin: il folle impatto NO-GREEN! | Ed Ethereum è ormai…

2 anni fa
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Ethereum è passato a PoS, e quindi inquina molto meno. Bitcoin, il cattivo designato da parte di certe agende politiche, è invece rimasto alla Proof of Work e ci porterà, a stretto giro di posta, alla catastrofe ecologica.

Questi sono gli ordini di scuderia ai quali si stanno uniformando tutti i membri di una pletora di utili idioti, copiatori seriali di notizie, distributori di particolari agende politiche e anche scienziati che hanno fatto del climate change anima e companatico delle loro esistenze. Parole dure, ma almeno ad avviso di chi vi scrive assolutamente necessarie, dato che negli scorsi giorni anche la stampa italiana si è prestata a questi giochi, innescati questa volta da un paper che proviene da ricercatori dell’Università del New Mexico e che è finita anche su una rivista tendenzialmente rigorosa come Nature, anche se in una sottosezione.

Nel frattempo però Bitcoin continua a macinare blocchi, tendenzialmente si disinteressa di quanto vanno cianciando certi giornali e si apre anche agli investimenti di chi è ha un pizzico di lungimiranza. Cosa che possiamo fare anche su Capital.comvai qui per ottenere un conto virtuale gratuito anche con INTELLIGENZA ARTIFICIALE INCLUSA – intermediario che ci offre i migliori strumenti finanziari per analizzare quanto avviene sul mercato prima di investire.

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Antefatto: esce l’ennesimo pessimo paper sul consumo del mining Bitcoin…

…e tanti giornali italiani, ingolositi dal traffico che Bitcoin genera come tema ripetono a pappagallo una lunga sequela di inesattezza che suddetto paper contiene. Neanche per seguire un’agenda (sarebbe forse chiedere troppo a certe pubblicazioni), ma con la foga classica del copiatore seriale, che non si preoccupa neanche di verificare quanto sta appunto per copiare.

L’odore non è dei migliori

Il paper in questione trova la sponda di scientific reports, pubblicazione in orbita Nature e quindi vale doppio. Anche se di inesattezze e di aperte manipolazioni ce ne sono diverse, come ci preoccuperemo di dimostrare in questo nostro editoriale domenicale. Sempre per dovere di completezza di informazione verso i nostri lettori, potete scaricare il paper da qui, così da poter verificare anche di persona quanto riportiamo.

Il tema centrale: Bitcoin inquina più del valore prodotto

E basterebbe questo per cestinare l’intero paper. L’idea centrale che il paper sostiene, e che prova a dimostrare in circa otto pagine, è che il costo ambientale del mining Bitcoin sarebbe più alto del valore dei coin prodotti con ogni blocco. E si tratta di una fesseria sesquipedale sia sul piano metodologico sia per quanto riguarda il tema principale.

  • Primo errore: il valore di quanto prodotto da Bitcoin viene misurato in termini di nuovi coin emessi

Il confronto, tanto per iniziare, non tiene conto di quello che è un altro valore economicamente misurabile. Ovvero il valore che l’esistenza e il funzionamento stesso del network ha per chi lo utilizza. I miner non hanno solo il compito di estrarre nuovi Bitcoin, ma anche di permettere l’aggiunta di nuovi blocchi alla blockchain. All’interno di quei blocchi ci sono transazioni che evidentemente hanno una certa utilità per chi le effettua (dato che tra le altre cose le pagano, talvolta anche profumatamente). Prendendo un termine di paragone caro a questo network, sarebbe come valutare l’utilità degli allevamenti tenendo conto soltanto del valore monetario degli stipendi erogati.

  • Secondo errore: il calcolo del valore economico del danno ecologico

Da un lato durante il paper si afferma che è molto difficile capire dove sono i miner (falso anche questo, almeno su certi livelli), dall’altro si conferma l’assoluta difficoltà di valutare il mix energetico utilizzato. E si citano altri paper, molti dei quali già sbugiardati e sui quali torneremo.

  • Terzo errore: le esternalità negative della produzione elettrica…

…non possono essere in alcun modo responsabilità dei miner. Il regolatore pubblico ha pieni poteri nell’imporre il pagamento di imposte legate alle emissioni, e lo fa ricorrendo al (talvolta sbilenco) impianto delle esternalità negative. Ritenere Bitcoin responsabile di questo è assurdo, se non fazioso.

Chi guida questi attacchi? È solo pigrizia?

Le fonti utilizzate

Un capitolo a parte merita l’analisi delle fonti utilizzate dal paper. Sono fonti che la community e gli specialisti hanno già sbugiardato rigo per rigo e che concludono il nostro primo approccio alla valutazione di questo paper che ha fatto tanto parlare.

  • Alex De Vries

In molti lo conoscono proprio per i suoi lavori, citati nel paper, legati ai consumi del mondo cripto e nello specifico di Bitcoin. In pochi però segnalano come De Vries sia stato al soldo della Banca Centrale dei Paesi Bassi. Banca Centrale che, come dovrebbe essere ovvio per tutti i nostri lettori, ha interessi in conflitto con quelli di Bitcoin.

In molti, a nostro avviso a ragione, contestano anche la scarsa preparazione di Alex De Vries in termini di conoscenza del mercato dell’elettricità, della modellazione dei sistemi energetici, della Cina e di tanto altro – vedi quanto fatto da Fluid Finance – che sarebbe necessario conoscere per capire il vero impatto di Bitcoin.

  • Camilo Mora: Bitcoin emissions alone could push global warming above 2°C

Paper che può essere consultato qui, sempre su Nature, che dalla sua uscita ha già ricevuto 3 smentite sempre a mezzo paper e che più volte è stato debunkato pezzo per pezzo da chi si occupa di ricerca sul mining Bitcoin.

  • Stoll, Klaaßen, Gallersdörfer – The Carbon Footprint of Bitcoin

Altro paper molto contestato, anche questa volta a ragione, dalla community che studia Bitcoin in modo serio e approfondito. È legato al Crypto Carbon Ratings Institute, che ha diretto interesse economico affinché si affermino le chain in Proof of Stake.

Con fonti di questo tipo, che ahinoi sono state le stesse utilizzate anche da un dispaccio pubblicato di recente dalla Casa Bianca, non si poteva ottenere granché di meglio.

Un paper assurdo, che non aggiunge nulla, ma che anzi rinforza la nostra opinione su certa stampa

C’è un’agenda? Semplice pigrizia? Appetito per i tanti click che Bitcoin garantisce? Probabilmente un mix delle tre cose, con la stampa italiana, generalista e non, che non ne esce nel migliore dei modi.

FUD duro e puro, con qualche interesse convergente con progetti nemici di Bitcoin che non aggiunge nulla alla discussione pubblica, pur dovuta, sulle emissioni legate a Bitcoin. A nostro avviso un buco nell’acqua, che ha avuto più eco di quanto meritasse – e che meritava di essere sbugiardato qui sulle pagine di Criptovaluta.it.

Gianluca Grossi

Caporedattore ed analista economico. È divulgatore per blockchain, Bitcoin e criptovalute in generale. Solida formazione tecnica, si occupa del comparto dal 2015. Detenzioni: Bitcoin, Ethereum.

Vedi Commenti

  • Tutti quelli che dicono che il BTC porterà ad una catastrofe ambientale sono persone che non ragionano guardando avanti. A mio avviso tutti i potenti stanno boicottando il mondo "elettrico".
    Dalla mobilità al mining sono opportunità per noi che non sediamo sulle poltrone.
    Per esperienza personale posso dichiarare che con il mining ci ho riscaldato la casa e risparmiato il 60% di gas ma adesso il costo dell'elettricita è balzato da 0,22 a maggio ad oggi 0,49.
    Tutti gli scettici dei pannelli fotovoltaici non hanno riflettuto che l'unica energia che noi possiamo produrre, immagazzinare e stoccare è quella elettrica invece per le altre fonti avremo bisogno sempre dei potenti che di anno in anno aumentano esponenzialmente i loro profitti.

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