Cryptopia è uno degli exchange che ha fatto maggiormente parlare di sé quest’anno. Il problema è che ne ha sempre fatto parlare molto male. Una serie di eventi, uno peggiore dell’altro, si sono susseguiti in un turbinio senza fine da gennaio ad oggi. Mentre altri exchange beneficiavano dei grandi capitali provenienti da un nuovo afflato positivo per le criptovalute, questo servizio con sede negli Stati Uniti ha chiuso i battenti. La storia racconta di problemi e decisioni sbagliate, che qui ripercorriamo insieme agli ultimi avvenimenti di questi giorni.
A gennaio un attacco informatico è riuscito a violare gli account di ben 76.000 clienti di Cryptopia, portando ad un furto di Ethereum dal valore di 16 milioni di dollari. Ne è poi seguito uno minore, pochi giorni dopo. Ancora oggi i servizi di monitoraggio della blockchain mostrano transazioni fatte con i fondi rubati all’exchange, ma ogni tentativo di recupero è stato del tutto inutile.
Mentre l’azienda cercava di mettersi sulle tracce dei fondi dei clienti, la voce dell’attacco informatico faceva il giro del mondo. Con il passare dei giorni dall’azienda non arrivavano notizie, mentre sempre più clienti prelevavano fondi convinti della poca sicurezza del servizio. Chi lo ha fatto in tempo ha fatto bene: ad oggi, infatti, Cryptopia ha dichiarato bancarotta ed un curatore fallimentare sta cercando di suddividere il patrimonio dell’azienda in modo da rimborsare i clienti. Qualcuno potrebbe commentare che tutto ciò non è abbastanza: i fatti di maggio hanno portato ancora più cattive notizie ai clienti dell’azienda.
Il database su cui Cryptopia manteneva i dati degli utenti non era interno all’azienda. L’exchange aveva infatti nominato una società specializzata, con sede in Arizona, incaricandola di occuparsi di questo preciso aspetto. Le due parti hanno firmato un contratto da 2 milioni di dollari che, proprio per via della bancarotta anticipata, ora non può essere pagato. Il curatore fallimentare ha chiesto che venissero comunque diffusi i dati, ma l’azienda si è rifiutata di comunicarli fino a che non avrà ricevuto il pagamento di quanto stabilito per contratto.
Si è creato un vicolo cieco: il debito contratto nei confronti di chi gestiva il database impedisce di accedere ai dati dei clienti rimborsando il debito che Cryptopia ha con loro. Una situazione per nulla facile per i curatori fallimentari, David Ruscoe e Russell Moore, che ora si vedono saldamente stretti tra l’incudine ed il martello. Il problema fondamentale è che, se venissero pagati tutti i fornitori, non rimarrebbe un patrimonio sufficiente a rimborsare tutti i clienti.
Ancora una volta si vede quanto importante sia il fatto che il settore delle criptovalute venga regolamentato, in modo da dare delle garanzie a tutti in caso di liquidazione. Nelle norme del diritto bancario sono stabilite le precedenze nei rimborsi in caso di fallimento di una banca: perché non esiste ancora, in una nazione avanzata come gli Stati Uniti, una normativa che possa essere applicata agli exchange? Non rimane che sperare nelle abilità dei due curatori, che dovranno trovare un modo per risolvere la situazione cercando di non scontentare nessuno.
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