Brutte notizie per chi non aveva registrato i profitti ottenuti tramite criptovalute e non li aveva dichiarati al fisco australiano.
ATO – Australian Taxation Office – ha annunciato, sulle pagine del The Sydney Morning Herald, una stretta su chi fa trading di criptovalute e, contestualmente, di aver già individuato 12 casi di evasione di grandi proporzioni, di cui 1 coinvolgerebbe una importante istituzione finanziaria globale.
Si tratta in realtà di una stretta che non vede protagonista solo l’Australia, ma di uno sforzo congiunto delle forze dell’ordine di Stati Uniti, Inghilterra, Paesi Bassi e anche Canada, che di concerto stanno seguendo almeno 50 casi di grande evasione a mezzo criptovalute.
Non si tratta della prima stretta che vi riportiamo sulle nostre pagine. Soltanto qualche girorno fa le autorità olandesi avevano appunto sequestrato i server di uno dei più importanti mixer operanti sul territorio europeo, con la collaborazione dell’Europol.
Le autorità, dati anche gli enormi capitali coinvolti, stanno dunque iniziando a prendere sul serio tutto il mondo delle criptovalute, agendo da un lato sui maggiori scambi e sui maggiori servizi, dall’altro invece sui redditi non dichiarati di chi appunto fa trading su queste particolari categorie di asset.
Rimane il fatto che a parziale giustificazione degli evasori presunti, permane l’incertezza su come, dove e quanto dichiarare nel trading di criptovalute nella stragrande maggioranza dei paesi sviluppati.
In altri casi, come in Giappone, gli investimenti in criptovalute sono tassati inspiegabilmente a più del doppio di quanto vengano tassati investimenti in azioni e obbligazioni.
Servirà sicuramente essere più chiari sulla questione – con l’incertezza in tema fiscale che non può che essere a completo e totale discapito del contribuente, soprattutto quando appassionato di criptovalute.
Anche in Italia, d’altronde, permane una condizione di incertezza, nonostante le numerose note dell’Agenzia delle Entrate sull’argomento.
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