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SEC contro gli exchange crypto | “Proof of Reserves non affidabili”

2 anni fa
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SEC contro gli audit. O meglio, contro gli audit che hanno avuto come oggetto della loro indagine le principali piattaforme cripto. Una scoperta dell’acqua calda, se vogliamo parlare senza alcun timore di apparire come eccessivamente polemici. Una verità oggettiva che viene però utilizzata ancora una volta per attaccare i crypto exchange.

Tutto questo almeno secondo le dichiarazioni di Paul Munter, pezzo grosso di SEC, authority che dovrebbe vigilare sui mercati e che da qualche mese a questa parte sembrerebbe essere particolarmente affaccendata nel mondo cripto.

La buona notizia? In realtà a SEC sarà data molta meno carta bianca di quanto vorrebbe, di quanto desidererebbe e di quanto sarebbe ragionevole dargli. E potremo continuare, al netto degli strali di tali autorità, a fare trading e acquisti nel mondo cripto. Possiamo farlo con un operatore sicuro come Capital.comvai qui per ottenere un conto virtuale gratuito e illimitato – per un intermediario che offre nel complesso oltre 6.000 asset di cui oltre 140 del mondo cripto.

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SEC: gli audit non sono audit, o meglio, non sono degni di fiducia

SEC si scaglia ancora, anche se questa volta prendendo la rincorsa in via obliqua, contro gli exchange. E lo fa tornando sulla vexata quaestio degli audit, che poi audit non erano. Servirà una piccola introduzione per capire di cosa stiamo parlando.

Fino a qualche giorno fa diversi exchange, tra i quali Binance e Crypto.com, si sono affannati per ottenere delle Proof of Reserves tramite conosciute, riconoscibili e rispettabili società di audit e di verifica finanziaria. È stata scelta Mazars, che poi però ha deciso di farsi indietro a causa di incomprensioni sulla natura di quanto svolto.

La trasparenza va coltivata anche dalle autorità

Per capirci non erano audit, ma procedure decise per filo e per segno dagli exchange, al fine di offrire una sorta di verifica sui depositi effettuati dai clienti. Soluzione definitiva? Assolutamente no, e di questo si è dibattuto ampiamente anche all’interno della comunità cripto.

Sul tema è intervenuta anche SEC, tramite uno dei suoi personaggi più importanti dopo Gary Gensler.

Alcuni dei report delle Proof of Reserves sembrano effettivamente di alta qualità. Altri invece non ci permettono di capire cosa stia accadendo.

Vero? Più che vero, verissimo. Ma lo stesso vale per quasi ogni tipo di certificazione alla quale si sottopongono anche società quotate. No, non parliamo degli audit, che sono in genere una cosa seria, ma del complesso di organizzazione societaria, trasferimento di fondi e gestione finanziaria che tali audit non sono in grado di verificare. Tutto questo è stato affermato ormai una settimana fa. Si è poi tornati sul tema, sempre tramite Munter, in una più recente intervista con il Wall Street Journal.

Gli investitori non dovrebbero fidarsi eccessivamente del mero fatto della presenza di Proof of Reserves certificate da una società di audit.

Quindi sì, abbiamo un problema di trasparenza, ma parlare come se si trattasse di un problema esclusivo del mondo cripto è, almeno a nostro avviso, non così corretto.

Una possibile soluzione: favorire la quotazione dei principali exchange

Un punto di vista che forse striderà con quello della larga parte della community, ma che nella redazione di Criptovaluta.it coltiviamo da tempo. Le società quotate negli USA sono sottoposte a controlli piuttosto rigidi anche in termini di audit. Controlli ai quali si sottopone ad esempio anche Coinbase.

L’idea di fondo che stiamo maturando è che sarebbe interesse del regolatore pubblico vedere più exchange di certe dimensioni quotati in borsa, così da poter esercitare dei controlli più capillari. Possono essere costretti a farlo? Certamente no. Ma è altrettanto vero che il quadro di incertezza regolamentare del quale è responsabile anche SEC sicuramente non sta aiutando evoluzioni di questo tipo.

In altre parole, non riteniamo che sia onesto lamentarsi della confusione quando poi si è tra i primi ad alimentarla. E per quanto riguarda la fiducia: il modo migliore di operare sarebbe quello che Bitcoin promuove da tempo. Ovvero il don’t trust, verify che ha come naturale conseguenza l’autocustodia. Noi siamo d’accordo, ma che dire di una classe politica che praticamente in tutto il mondo sta cercando di ostacolare tali pratiche?

Gianluca Grossi

Caporedattore ed analista economico. È divulgatore per blockchain, Bitcoin e criptovalute in generale. Solida formazione tecnica, si occupa del comparto dal 2015. Detenzioni: Bitcoin, Ethereum.

Vedi Commenti

  • Al di là del fatto che fare la proof of reserve non è per niente semplice se vogliamo mantenere la privacy di tutti gli utenti e non lo dico io che sono ignorante.
    Ma tolto questo, le banche, le finanziarie, le assicurazioni ecc. ecc.ecc. la fanno?
    Cioè, se io oggi vado in banca e chiedo di verificare che tutto il capitale di tutti i correntisti è coperto possono dimostrarlo?
    E se dovessero subire una bank run come quelle subite da ftx e luna cosa farebbero?
    Siamo a due pesi, due misure, ingiustificate e scorrette a questo punto.
    Ma come dite bene voi, noi la soluzione ce l'abbiamo già, chiavi private.
    Certo non è semplice per chi fa trading, però una soluzione si può sempre trovare con la tecnologia.

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    • le banche hanno qualcosa che si chiama tipo "riserva frazionata". Tradotto, NON hanno assolutamente tutti i soldi dei correntisti, ma solo una (piccola) parte. Il resto lo usano per far prestiti e investire. Se tutti ritirassero ----> falliscono.
      Ohhhh che bella cosa che è la finanza :D
      Mettete le vostre crypto su hardware wallet e non ve lo tocca più manco il padreterno :D

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