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Bitcoin: nuovo assurdo attacco! | Le fesserie su MIT Tech Review

È il turno di un altro lungo articolo, questa volta sul MIT Technology Review, contro Bitcoin e la Proof of Work.
2 anni fa
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Il mining BItcoin avrà anche lo stesso consumo energetico delle Filippine, ma verrebbe da chiedersi quale sia il consumo anche di questi articoli fotocopia che ci ammorbano da qualche mese a questa parte, ovvero da quando è partita la campagna Change the Code, firmata Greenpeace e finanziata da progetti concorrenti a Bitcoin, o meglio, che vorrebbero provare ad esserlo.

Sì, è il turno di un’altra incredibile articolessa, questa volta comparsa sul MIT Technology Review, a firma di tal Amy Castor. Il contenuto dell’articolo lo avrete già letto decine se non centinaia di volte altrove, ma vale la pena perderci qualche minuto in più, nonostante sia difficile capire se si tratti di una velina diffusa da chi ha un’agenda ben precisa o di un curioso caso di plagio.

Nel frattempo Bitcoin se ne disinteressa allegramente e continua non solo a produrre blocchi ogni 10 minuti circa, ma anche a mantenere un’invidiabile quotazione sul mercato. Possiamo efficacemente investirci con FP Marketspuoi ricevere una demo gratuita qui – piattaforma che permette di creare portafogli crypto a zero commissioni, usufruire di segnali di trading e di strumenti d’analisi avanzati (come MetaTrader e Autochartist).

Bitcoin deve passare a Pos

Sì, il tema è sempre lo stesso. È quello della curiosa campagna Change the Code di Greenpeace. Si vorrebbe cambiare il meccanismo alla base di Bitcoin e renderlo Proof of Stake come ha fatto recentemente Ethereum. La storia è ormai vecchia, stanca e priva di senso. Ma vale la pena sbugiardare i punti salienti di questo articolo, per mettere definitivamente un punto su tante stupidaggini che siamo ancora quasi costretti a leggere. L’articolo è disponibile qui in inglese. Noi ne riporteremo alcuni dei punti salienti.

Entrambi i sistemi [Bitcoin e Ethereum, NDR], lottano per ottenere il medesimo risultato – uno utilizza elettricità in quantità simili a quelle di uno stato, l’altro richiede invece ai partecipanti di bloccare dei coin. Entrambi sono decentralizzati in teoria, ma non in pratica. La vasta maggioranza del mining oggi è fatto da 5 mining pool. Nella Proof of Stake, chi ha la mggioranza dei coin controlla la blockchain.

Il diavolo si nasconde spesso nei dettagli: non è vero che la concentrazione presso 5 mining pool del grosso dell’hashrate in 5 diverse pool si trasformi in un controllo della blockchain/timechain di BTC. Le pool poi sono composte da migliaia di miner indipendenti che possono, nel caso di comportamento non corretto (e economicamente non conveniente) delle pool trasferirsi altrove letteralmente con un click. Il mondo sarebbe migliore con una distribuzione maggiore di pool? Probabilmente sì, ma da qui a dire che ne è pregiudicata la “decentralizzazione” (la giornalista probabilmente intendeva distribuzione, ma tant’è) ce ne passa.

Bitcoin è soltanto una criptovaluta. Ha un gruppo di sviluppatori e un gruppo di miner. Ethereum invece è una piattaforma di smart contract per applicazioni decentralizzate, con tanti progetti, criptovlaute, NFT e piattaforme NFT che utilizzano la sua infrastruttura.

Mele e pere. Sarebbe come dire che un rubinetto di acqua potabile è inutile perché al supermarket possiamo comunque trovare tante bibite in più. Bitcoin è altamente specializzato in quello che fa: essere un network monetario distribuito e privo di intermediari. E va benissimo così, dato che a decidere se sia utile o meno sono centinaia di migliaia di utenti e di persone che mettono a disposizione anche le loro risorse. Se Amy Castor trova necessario avere una blockchain tuttofare, è liberissima di utilizzare Etheruem.

Tutto organizzato?

La Proof of Stake ha diversi vantaggi. Costi di transazione più bassi ed è migliore per l’ambiente.

I costi di transazione più bassi non dipendono dal metodo utilizzato per appendere blocchi alla chain. Il costo è in larga parte dipendente dallo spazio disponibile nei blocchi e dalla domanda dello stesso. Sarebbe bastato verificare per rendersi conto che non vi è stato alcun tipo di ribasso successivamente al passaggio di Ethereum alla Proof of Stake. Ma questo probabilmente avrebbe esulato dal compitino, che a questo punto sembra essere quello di replicare quanto già letto altrove.

Gli aggiornamenti di Bitcoin sono controllati da un piccolo gruppo di sviluppatori , conosciuti come “mantainer” i cui salari sono garantiti da investitori privati e gruppi influenti come Blockstream, una startup BItcoin.

No, gli sviluppatori BItcoin non hanno alcun tipo di potere nel forzare certe modifiche né hanno a disposizione più “voti” del resto della community. Anche qui sarebbe bastato vedere cos’è successo nel recente passato della storia di Bitcoin per rendersi conto della fesseria scritta.

E poi arriva l’immancabile professore. Questa volta è il turno di tal Jorge Stolfi, dell’università di Campinas, in Brasile, che dice che non dipende soltanto dagli sviluppatori, ma anche dai… miner.

Necessitano del supporto dei miner Bitcoin, che ad oggi raccolgono circa 900 bitcoin al giorno, che valgono oltre 20 milioni, più le transazioni per ogni blocco che minano.

Anche qui, falso. I miner Ethereum o un gruppo di questi hanno provato a forkare e dato che il consenso di chi utilizza fattivamente Ethereum era invece per il passaggio alla Proof of Stake, nessuno si sta filando neanche alla lontana né Ethereum Classic né tantomeno Ethereum PoW, nonostante ci fosse stato l’appoggio di tanti player rilevanti del settore. No, nel mondo di Bitcoin non comandano i miner e non è per le loro resistenze che non si riesce a passare alla Proof of Stake.

Si può forkare… e vedere…

La cosa più interessante di Bitcoin è che tutti domani possono decidere di mettere in piedi un sistema in Proof of Stake, forkarne la timechain e continuare da lì a caccia di consenso. Sembra esserne almeno alla lontana informata anche l’autrice dell’articolo in questione, che però poi scrive…

È più facile a dirsi che a farsi. Come ci ha ricordato David Gerard, autore di Attack of the 50 Foot Blockchain, “anche questa semplice proposta ha portato a scismi nella community, fork nel codice, attacchi DDOS, minacce di morte, una divisione tra i miner Cinesi e i programmtori americani e altre prove del fatto che i problemi nel protocollo di Bitcoin non sarebbero mai stati sistemati tramite il processo di consenso”

Anche questa una fesseria sesquipedale. Per quanto gli animi si siano accesi in modo importante durante gli eventi che hanno poi portato alla nascita di Bitcoin Cash, ci sono altre considerazioni da fare. E cioè che il moltiplicare la grandezza dei blocchi non era affatto una piccola modifica di poco conto e che dunque fosse più che normale trovare una forte resistenza almeno da una parte della community, per quanto in vista o meno fossero i sostenitori della tesi dei blocchi da far rimanere a 1MB.

Gli sviluppatori Bitcoin sono poi così restii ad ascoltare nuove idee e proposte che successivamente a quanto avvenuto durante le cosiddette Blocksize Wars hanno introdotto SegWit, una soluzione piuttosto elegante per aumentare lo spazio dedicato alle pure transazioni su Bitcoin. E quindi anche qui sarebbe bastata una ricerca che andasse oltre i meme per non scrivere il mucchio di stupidaggini che questo articolo contiene.

Vi abbiamo fatto un favore. Lo abbiamo letto noi così da permettere a voi di non leggerlo. Il tutto nella speranza che la discussione su Bitcoin diventi un poco più seria. Speranza, probabilmente, mal riposta.

Gianluca Grossi

Caporedattore ed analista economico. È divulgatore per blockchain, Bitcoin e criptovalute in generale. Solida formazione tecnica, si occupa del comparto dal 2015. Detenzioni: Bitcoin, Ethereum.

Vedi Commenti

  • Bravo Gianluca, mi è piaciuto il tra parentesi, intendeva dire distribuzione.
    È lo stesso concetto del wallet, diciamo portafoglio immaginando che ci siano dentro le coin quando invece il wallet in realtà è vuoto, le coins stanno dove sono non entrano ed escono dai portafogli.
    Giusto per puntualizzare.

    Detto questo mi chiedo, che senso avrebbe avere un consenso pos su una moneta virtuale ( in realtà sull'unica moneta virtuale, almeno che è nata con lo scopo di essere moneta.)
    Che ha un' emissione finita, allora dovremmo modificare il codice e renderla infinita, però poi dovremmo inventarci i burn per cercare di renderla inflattiva, poi c'è il trilemma, non puoi essere scalabile, sicuro e.......distribuito, giammai vorremmo un btc decentralizzato, bisogna andare avanti mica indietro.
    Quindi che fare?
    Nel discorso c'è già la risposta secondo me.
    Sarebbe come prendere i blocchi della piramide di Keope, smontarla e farci il cubo del Cairo, ok ma allora non è più la grande piramide, l'unica delle 7 meraviglie del mondo antico ancora visitabile dopo 5,6,7 mila anni.

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  • chiediti chi c'è dietro greenpeace, e qual è la sua (nota) posizione sul settore. E' la stessa persona che finanzia larga parte della leadership politica europea, e ci impone scelte assurde, costose e impopolari.

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