La notizia della settimana è, senza dubbio alcuno, la Wells Notice fatta recapitare da SEC a Coinbase. Ne abbiamo già parlato in via introduttiva e ora che sono emersi altri dettagli sulla vicenda – e sui rapporti tra l’agenzia e l’exchange – è il caso di tornarci su, anche per capire con che tipo di logica si sta muovendo SEC negli Stati Uniti.
Ieri si è tenuto uno Space su Twitter che ha ospitato anche il CEO dell’exchange, Brian Armstrong, che ha contribuito a fare chiarezza, almeno dal suo punto di vista, dicendosi al tempo stesso felice di poter difendere le sue ragioni di fronte ad una corte. C’è in ballo molto per il mondo di Bitcoin e delle criptovalute? Dipende: negli USA certamente sì.
E sarà una battaglia, ammesso che si arrivi davvero in tribunale (cosa però molto probabile), da seguire minuto per minuto anche per cercare di comprendere quale sia la logica che sta animando diverse agenzie governative USA. È davvero una manovra organizzata su più fronti per cercare di portare un colpo mortale all’industria?
Il commento più interessante per capire dove ci troviamo e di cosa stiamo parlando è quello di Paul Grewal, dirigente del gruppo che pochi giorni fa aveva testimoniato anche di fronte alla Commissione del Senato USA che si occupa di asset digitali.
Coinbase ha ricevuto una Wells Notice da parte di SEC. Dopo anni di richieste per regole cripto ragionevoli, siamo contrariati dal fatto che SEC preferisca i tribunale ad un dialogo costruttivo. C’è bisogno delle corti? Ok, a noi sta bene. Difenderemo la Rule of Law. Negli ultimi 9 mesi Coinbase si è incontrata con SEC più di 30 volte, condividendo dettagli sulle nostre operazioni per costruire un percorso verso la registrazione. Durante questo periodo, SEC ci ha dato di fatto zero feedback su cosa cambiare, o su come registrarci. E ha preferito consegnarci oggi una Wells Notice. Quando Coinbase si è quotata in borsa, il nostro S1 [il modulo che deve essere consegnato con info dettagliate sulla società che si quoterà, NDR] descriveva il nostro business in dettaglio, includendo 57 riferimenti allo staking e dettagli sul nostro processo di listing. SEC ha approvato la nostra quotazione, conoscendo quei dettagli. Ora hanno cambiato idea su cosa sia lecito fare e cosa non lo sia.
Ci sono diversi dettagli interessanti che meritano ulteriore attenzione per capire almeno in parte la questione. Coinbase e SEC non sono due sconosciuti: negli ultimi 9 mesi la società che offre compravendita cripto e servizi di staking ha incontrato il regolatore almeno 30 volte. Secondo quanto è emerso poi da altre discussioni, Coinbase avrebbe anche chiesto indicazioni su quali asset fossero delle security, senza ricevere risposta alcuna da SEC.
In breve: Coinbase ha cercato più volte indicazioni da parte di SEC su come comportarsi, senza ricevere alcuna indicazione dall’agenzia, per poi vedersi recapitare richiesta di informazioni in forma di Wells Notice, documento che nella stragrande maggioranza dei casi porta poi ad una causa in tribunale.
Coinbase, tramite Paul Grewal, afferma che SEC era al corrente di tutte le operazioni del gruppo, compreso staking e listing, già da quando si è quotata in borsa. Secondo le leggi statunitensi infatti bisogna consegnare un modulo, detto S1, che deve contenere informazioni dettagliate sulle operazioni dell’azienda. Questo è vero. Ad essere però meno solida come posizione è il ritenere che un nullaosta ricevuto ormai più di 2 anni fa sia valido in perpetuo. E che le condizioni non siano cambiate, almeno secondo il punto di vista di SEC, con l’arrivo dello staking di Ethereum.
Perché parliamo dello staking di Ethereum? Perché in realtà è parte della strategia di attacco di Gensler al settore. Le modalità con le quali è stato integrato lo staking (e la non coincidenza tra possibilità di accedervi e possibilità di ritirare quanto messo in staking) ha offerto a Gensler l’opportunità di ritenere almeno quello specifico servizio di staking come una potenziale security.
Vedremo se sarà questa la posizione che SEC terrà in tribunale, o se in via più generale e seguendo quanto contestato a Kraken, SEC cercherà di dimostrare che chi intermedia lo staking sta offrendo in realtà titoli finanziari. Questa posizione però sarebbe piuttosto debole, in quanto le modalità di staking di Coinbase sono direttamente onchain.
Brian Armstrong vuole difendersi in tribunale e al netto delle chiamate alle armi – difenderemo tutto il settore, dice – il messaggio è che al contrario di quanto fatto da Kraken, non si cercherà un accordo.
Le solite malelingue faranno notare che la posizione di Coinbase è ben diversa, perché le operazioni di staking comunque rendono parecchio alla società e sono cruciali per la buona salute finanziaria del suo business. Ma quale che sia la motivazione, sarebbe forse il caso di smettere di fare le pulci a chi, offrendo servizi, guadagna in questo spazio e decidere se stare dalla parte di un exchange pur non amatissimo in certi circoli oppure dalla parte di un’autorità che agisce sopra la legge e oltre la legge.
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