Saremo i soliti malfidenti, ma quando in mezzo ci sono questioni politiche tra Cina e Stati Uniti – in quella che sembrerebbe essere una rediviva Guerra Fredda – tendiamo a fidarci poco. Di cosa si parla? Del fatto che a Hong Kong, al contrario di quanto avviene negli Stati Uniti, diverse banche sarebbero più che disponibili ad offrire servizi alle società crypto. Questo almeno è quanto si legge in un approfondimento pubblicato da Bloomberg, giornale che a dire il vero non ha uno score perfetto quando si tratta di riportare la verità nel mondo cripto.
Il nucleo della notizia è questo: mentre negli USA si chiudono le porte alle società cripto e agli exchange, a Hong Kong il vento starebbe cambiando e sembrerebbe essere decisamente più favorevole per il settore, almeno rispetto a quanto avviene dalle parti di Washington. Per chi volesse approfondire ulteriormente leggendo tutto l’intervento, qui c’è il documento di Bloomberg, in inglese.
La guerra fredda, che poi guerra non è e non è neanche così fredda, passerà anche da qui? Come sempre sarà il caso di cercare di separare le fantasie dalla realtà, così come si dovrà dare una ripulita alle dichiarazioni politiche cercando di capire cosa ci sia di vero.
L’articolo di Bloomberg si apre nel modo più incredibile:
Le società cripto che stanno arrivando in gran numero a Hong Kong dopo che la città ha aperto le sue porte al settore sotto attacco stanno trovando una stupefacente fonte di potenziale supporto: le banche statali cinesi.
E già qui ci sarebbe materiale a sufficienza per sbarrare gli occhi, spalancare la bocca e pensare che gli USA abbiano perso il treno di Bitcoin e delle criptovalute a favore del futuro grande nemico.
Le banche cinesi stanno contattando direttamente i business crypto già da qualche mese, aggiungendo ulteriori segnali riguardanti la spinta per la città a diventare un centro principale per gli asset digitali con l’approvazione di Pechino, anche se il trading crypto è bandito dalla Cina.
E di qui in avanti il report di certi contatti che sarebbero avvenuti tramite Bank of Communications, Bank of China e Shanghai Pudong, tutte banche sotto il controllo dello stato, che avrebbero già contattato diverse società cripto e proposto i loro servizi.
A quanto pare di capire però dal lungo articolo di Bloomberg, tra le poche società contattate ci sarebbero business che si occupano di servizi collaterali al mondo cripto e non legati direttamente alle operazioni di compravendita o di emissione di token, categoria questa di società che ha problemi decisamente maggiori a trovare chi gli offra accesso ai servizi bancari.
In molti continuano a ripetere, ignorando forse come funziona il sistema bancario nazionale negli USA e quello internazionale, che basterebbe aprire una succursale a Hong Kong, farsi offrire un conto in banca da un intermediario – anche statale – e continuare ad operare come nulla fosse. È una situazione che potrebbe essere ok per chi ad esempio emette stablecoin (e qualcosa che in realtà, anche se in altre parti del mondo, già si fa) ma che non risolve i problemi degli exchange.
Gli exchange non hanno difficoltà ad operare anche non rispettando le regole degli USA, ma hanno difficoltà ad accedere a ACH (consideratelo una sorta di SEPA) e quindi a raccogliere capitali dai piccoli e medi investitori, almeno negli USA e almeno per chi vuole passare dal circuito tradizionale.
Qualunque sia l’evoluzione a Hong Kong – della quale invitiamo tutti a dubitare almeno se raccontata in questi toni trionfalistici – non potrà essere di ripiego a quella che si sta sviluppando, in senso contrario, negli USA.
Qualcuno – a nostro avviso non completamente a torto – comincia a dubitare anche della narrativa crypto-cinese, ovvero di quel nucleo di notizie che periodicamente si affacciano sui grandi giornali e che segnalerebbero un cambio di paradigma in Cina per quanto riguarda il mondo cripto.
Potrà sicuramente esserci, ma partiamo comunque da una situazione dove, almeno nella Repubblica Popolare, è vietata praticamente qualunque operazione con Bitcoin e crypto. Anche se dovessero cambiare le inerzie e si dovesse fare qualche passo in avanti, il percorso sarà lungo, difficile e soprattutto alla mercé di volontà politiche che possono cambiare molto rapidamente.
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