Il caso CFTC contro Binance non poteva che rimestare nel famoso secchio. E sono tornate sui principali giornali del mondo vecchie teorie, allusioni, mezze verità e mezze falsità, il tutto allo scopo di cavalcare la moda del momento, e cioè la chiara delinquenza di chi gestisce l’exchange.
Per quanto la stampa abbia chiaramente il diritto di dire quello che vuole, quanto abbiamo potuto leggere ieri sul Financial Times ha semplicemente dell’assurdo, tant’è che è bastato poco, anzi pochissimo a Binance per rigettare qualunque tipo di accusa.
Per chi si fosse perso l’articolo di Financial Times, si parlava delle bugie che Binance avrebbe diffuso sui suoi legami con la Cina. In altre parole, Binance non avrebbe mai abbandonato il paese pur dicendo in giro di non essere un’azienda cinese.
Financial Times è una rispettabile pubblicazione che si occupa del mondo finanziario e economico. Da qualche tempo si avventura anche nel mondo cripto, spesso con angoli che però facciamo fatica a comprendere.
Ultima delle uscite del popolare giornale riguarda Binance e supposti legami con la Cina .
Binance ha nascosto collegamenti sostanziali con la Cina per svariati anni, in contraddizione con quanto riportato dai dirigenti in passato – e cioè che l’exchange avrebbe lasciato il paese nel 2017 dopo la chiusura al mondo crypto. Questo secondo documenti interni della compagnia che sono in possesso di Financial Times.
L’accusa sarebbe quella di aver detto, appunto, di aver abbandonato il paese dopo il famoso crackdown del 2017, salvo poi mantenere una presenza, per quanto ai limiti dell’invisibilità.
E poi un relativamente lungo articolo che non riporta granché di sostanziale, se non quello che sappiamo già e che è contenuto anche nella denuncia di CFTC: Binance non pubblica dati sull’effettiva location delle proprie attività.
In pubblico, Zhao ha ripetutamente negato che Binance sia una compagnia cinese. E in un blog post lo scorso anno ha affermato che “solo un piccolo numero di operatori del servizio clienti” sono rimasti in Cina nel tardo 2018.
Per quanto sia difficile capire di cosa il FT stia accusando Binance, è arrivata comunque la smentita di Binance, pubblicata da Forkast:
Binance non opera in Cina e non ha alcun tipo di tecnologia, inclusi server o dati, in Cina. Rigettiamo qualunque tipo di affermazione contraria. Per essere chiari, il governo cinese non ha accesso ad alcun tipo di dato di Binance, così come gli altri governi non hanno questo tipo di accesso, fatta eccezione fatta per quando rispondiamo a richieste delle forze dell’ordine che siano legali e legittime.
E hanno poi aggiunto:
Il team di fondatori originale che era a Shanghai ha lasciato la Cina due mesi dopo la creazione della compagnia, prima che fosse registrata, in seguito ai crackdown sull’industria cripto in Cina. […] Avevamo un servizio clienti in Cina per offrire servizi in mandarino a livello globale. Gli impiegati che sono voluti rimanere con noi hanno ricevuto aiuto per trasferirsi a partire dal 2021.
Problema rientrato? Probabilmente no, perché il sospetto è che si voglia associare Binance alla Cina anche per cavalcare il tema caldo… della nuova guerra fredda. Proprio in questi giorni negli USA si sta discutendo di un possibile ban per TikTok, accusato appunto di eccessivi legami con le autorità cinesi ed essere associati a quel paese, qualunque sia la natura del legame, sarà fonte di preoccupazione e di chiacchiere per l’opinione pubblica.
C’è un’agenda? Probabilmente no. Ma la questione di Binance contro CFTC dovrebbe essere, almeno a nostro avviso, trattata con maggiore serietà, almeno da parte giornali di tale prestigio.
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FT come La Repubblica: buffoni