Non è stato un colpo mortale, ma quasi. Quanto avvenuto lo scorso novembre con il crollo di FTX sembrerebbe aver compromesso sul medio e lungo periodo la fiducia che il grosso del pubblico – anche quello maggiormente vicino al professionismo – nutre per gli exchange di criptovalute. Sebbene ci sia stato un leggero ritorno di Bitcoin sugli exchange a partire dalla scorsa settimana, siamo ad una distanza ancora siderale rispetto allo scorso novembre, segno del fatto che qualcosa potrebbe essersi rotto quasi in modo definitivo.
Rispetto a novembre, almeno secondo i dati che vengono diffusi da CryptoQuant, mancano ancora all’appello oltre 300.000 Bitcoin, somma importante e che costituisce nel complesso oltre il 10% delle riserve attuali. Un segno non solo interessante, ma anche base per un’analisi di quanto sta avvenendo nel mondo crypto, a partire dai suoi intermediari più importanti.
Basta guardare il grafico che alleghiamo per rendersi conto di come il principale catalizzatore sia stato il crack di FTX. Catalizzatore per una letterale fuga che ha fatto prelevare in fretta e furia importanti quantità di Bitcoin e di altre criptovalute. Un calo verticale, accompagnato poi però da altri cali nel monte totale di $BTC presenti sugli exchange, con una minima – e per ora irrilevante – inversione del trend partita a metà marzo e che è ancora in corso.
Per i numeri del mercato nel suo complesso e a livello globale, casi come quello di The Rock Trading forse non hanno un impatto diretto, ma comunque contribuiscono a suonare la sveglia per molti utenti: detenere Bitcoin – o qualunque altro tipo di criptovalute – è finalmente percepito come rischioso e qualcuno ha deciso – per oltre il 10% del totale – di ritirarli e di gestirli altrimenti.
Oltre al caso nazionale di The Rock Trading, a pesare sono stati anche altri casi: dalla causa negli USA per Binance alle multe incassate, sempre negli USA, da Kraken. Senza parlare poi di quanto avvenuto a Coinbase, che si sta preparando ad una lunga e costosa causa legale. Nel complesso la situazione per gli exchange continua ad essere molto complicata.
La teoria che stiamo sviluppando qui – e che cioè siano stati poi anche i casi Binance e Coinbase a pressare in negativo sulla credibilità degli exchange è confermata dai dati più aggiornati. La modesta inversione del trend della prima metà di marzo è stata quasi completamente riassorbita con tempistiche quasi in parallelo con quelle dei problemi legali negli USA per i principali brand del settore.
Filosofia autentica che prevede anche una maniacale attenzione per l’autocustodia e per l’evitare l’utilizzo di qualunque tipo di intermediario. Una situazione che forse ai piani alti del regolatore USA in pochi si immaginavano – e che invece è stato il risultato più evidente degli attacchi di Gary Gensler ai principali exchange.
Qualcuno, scherzando ma forse no, lo ha già fatto notare e ha indicato in Gensler uno dei più autentici massimalisti Bitcoin, tenendo conto anche degli attacchi a tutto il resto del comparto, che ha definito a più riprese come titolo finanziario, con tutto quello che ne consegue.
Non possiamo chiaramente sapere quanto ci sia di vero: sta di fatto però che di Bitcoin sugli exchange continuano ad essercene molto meno dell’anno scorso – e che è bastata un’altra azione dei regolatori USA – in questo caso CFTC – a rinfocolare la paura. Poco male: se questa dovesse essere occasione per far avvicinare più persone all’autocustodia, tanto meglio.
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