Il mondo è bello perché è vario. E anche perché se hai problemi a Washington, nessuno può proibirti di accasarti altrove. Non è una novità che Ripple abbia già esplorato (e capitalizzato) strade lontane dagli Stati Uniti – e ora le ultime dichiarazioni di Brad Garlinghouse sembrano andare ulteriormente in questa direzione.
Ripple Labs, la società che è dietro tutto ciò che avviene nel mondo Ripple, ha deciso di espandere la sua posizione a Dubai, luogo mistico per le cripto grazie a una tassazione competitiva e grazie a regole che sono certamente più chiare di quelle degli Stati Uniti.
Continua così il trend di società cripto di una certa rilevanza che preferiscono investire altrove, principalmente a causa di una situazione ai limiti dell’assurdo a Washington e dintorni, dove continuano le azioni legali contro operatori talvolta addirittura quotati in borsa. Ma vediamo cosa bolle in pentola per Ripple e perché potrebbe cambiare – e di parecchio – le carte in tavola.
Dubai mon amour
Dubai non è esattamente l’ultima delle destinazioni per grandi società del mondo cripto. In passato anche grandi exchange come Binance hanno stabilito una forte presenza nel paese e tra le aziende di dimensioni più ridotte la destinazione è altrettanto popolare. Questa volta la novità riguarda però Ripple ed è stata annunciata direttamente al Dubai Fintech Summit. A parlare è il CEO dell’intero progetto, Brad Garlinghouse.
Ripple si sta espanendo a Dubai. Con il 20% dei nostri clienti che sono in Medio Oriente e una regolamentazione chiara in via di sviluppo, non è una sorpresa che Dubai stia emergendo come un hub globale chiave per l’innovazione.
Parole che abbiamo già sentito altrove e che probabilmente sentiremo di nuovo anche da parte dei leader di altri progetti. Dubai rimane infatti non solo un luogo prestigioso dove espandere le proprie attività, ma anche un luogo di attenzioni relativamente basse sia da parte del regolatore sia da parte del fisco, con tasse che sono tra le più basse al mondo.
C’è poi per Ripple, come è stato confermato dallo stesso Brad Garlinghouse, l’incentivo della presenza di un gran numero di clienti dell’azienda (che sono principalmente banche) proprio in quell’area.
Tutti o quasi i grandi progetti di partnership di Ripple negli ultimi mesi hanno riguardato trasferimenti cross border tra Emirati e altri paesi mediorientali e sud est asiatico, principalmente a favore dell’enorme numero di immigrati asiatici che ha trovato una nuova casa da quelle parti.
Un trend che continuerà?
Probabilmente sì, anche se le destinazioni appetibili stanno diventando, periodicamente, di più. Dalle Bermuda scelte da Coinbase fino a location altrettanto amene che da tempo attirano gli exchange, a partire dalle Bahamas.
Sarà una lotta dura tra diverse giurisdizioni, per quanto in realtà il mondo crypto sia così variegato da avere necessità di accasarsi in diversi luoghi, a seconda del tipo di business che viene condotto.
Curioso, ma non troppo, che sempre meno scelgano gli USA – ma con quanto accaduto di recente a Binance e anche a Tron e al suo leader (senza dimenticare la lunga causa proprio di Ripple contro SEC), non sembra che al momento ci siano alternative praticabili.