PayPal ha in cassa quasi 1 miliardo di dollari in criptovalute. Il dato è emerso dal filing 10-Q, uno degli obblighi delle società quotate verso SEC. Nel complesso si tratta di 943 milioni di dollari, di proprietà degli utenti, in quattro diverse criptovalute.
Si tratta di un numero importante e che pone PayPal circa a 1/4 delle detenzioni di grandi exchange come Crypto.com – tanto per avere un metro della quantità di affari nel mondo crypto che il gruppo dei pagamenti digitali ha favorito. Negli ultimi 3 mesi, inoltre, l’aumento è stato di 339 milioni di dollari.
Un tasso di crescita importante per un servizio che è ancora monco e che non offre tutta la libertà che invece abbiamo, ad esempio, con gli exchange centralizzati. Un numero che tra le altre cose ci racconta una storia forse diversa da quella che immaginavamo sulla possibile adozione tramite servizi più conosciuti dalla generalità della popolazione.
Non sono chiaramente detenzioni proprie di PayPal, ma quanto gli utenti hanno acquistato tramite la piattaforma. Le criptovalute in questione sono Bitcoin, Ethereum, Litecoin e Bitcoin Cash – l’offerta ristretta che PayPal offre ai propri clienti.
Nel documento PayPal ha anche specificato che non si tratta – neanche per 1$ di controvalore – – di dotazioni in capo alla società. Sono tutti crypto-denari degli utenti che li hanno acquistati.
Manteniamo un conteggio interno dei crypto asset dei nostri utenti, incluso il tipo di criptovaluta in possesso di ciascuno dei nostri utenti.
Si tratta di un segnale certamente difficile da interpretare. PayPal pratica delle commissioni mediamente più care di quelle degli exchange e offre al tempo stesso meno servizi integrati.
La lezione che se ne potrebbe trarre è che in realtà c’è grande fame di questi asset da parte di un pubblico che di Exchange e di piattaforme di trading probabilmente non vuole sentirne parlare.
Un nome conosciuto e affidabile come PayPal è riuscito nel giro di un anno a attirare un monte di depositi comunque interessante, tenendo conto anche del fatto che il mercato è già saturo di player e che il servizio è stato attivato in uno degli anni peggiori per l’intero comparto.
Una lezione che forse dovrebbero intendere quei gruppi finanziari che hanno all’attivo milioni di account dei clienti e che continuano a ignorare il settore. Non che la cosa debba essere necessariamente favorevole per Bitcoin e il resto del comparto.
Il discorso è completamente un altro: c’è domanda di asset di questo tipo tramite intermediari magari più conosciuti e che per l’opinione pubblica sono più solidi (e protetti) degli exchange di criptovalute.
Un enorme monte di commissioni alle quali continuano a rifiutare per motivi non meglio precisati. O nel caso degli USA, per indicazioni dirette di Federal Reserve e degli altri padroni del vapore. E in Italia? Non ci sarebbe forse spazio per iniziative di questo tipo? Chissà che le cose non cambino quando qualcuno si accorgerà dell’importante mole di denaro che si può guadagnare offrendo compravendita cripto tramite canali più classici.
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... e 362 milioni in eth.
Concordiamo con l'analisi - c'è domanda, ma i terrestri hanno ancora paura degli exchange, preferiscono affidarsi a PagaSocio. De gustibus!
Lunga vita al Sommo Vitalik e al Protocollo. Ogni resistenza è futile. Sarete tutti un nostro layer2.