Tutti vogliono mettere il cappello sulla regolamentazione degli stablecoin negli Stati Uniti, ma non sembra che per ora ci sia consenso sufficiente su qualcuna delle tante proposte già avanzate nel Congresso e nelle relative commissioni. Analisti politici degli USA parlano di scontro, con posizioni molto diverse anche all’interno degli stessi partiti, cosa che con ogni probabilità contribuirà all’accumulo di ulteriore ritardo.
La discussione è particolarmente accesa anche in virtù della rilevanza per l’intera industria delle criptovalute – che sugli stablecoin conta non solo per facilitare il trading, ma anche come fonte di guadagno importante in una fare per i mercati di volumi molto bassi.
È il momento giusto di fare un recap, per una storia che incrocia su più livelli il mondo crypto e alla quale abbiamo già dedicato uno speciale sul nostro Magazine.
Sulla regolamentazione degli stablecoin si sta consumando l’ennesima battaglia politica negli Stati Uniti a tema crypto. Già con il vecchio Congresso pre-elezioni si era cominciato a muovere qualcosa – per quanto in fretta e furia e più in reazione al caos innescato da FTX che per altri motivi. Ora che c’è un nuovo Congresso – e di conseguenza nuove commissioni – sono due le proposte che stanno circolando spinte da diversi schieramenti.
Il primo è firmato da French Hill – che è capo della sotto-commissione sugli asset digitali, il secondo invece da una vecchia conoscenza del mondo cripto, Maxine Waters, che in molti ricorderanno in foto in clima di estrema cordialità con Sam Bankman-Fried.
Le questioni principali sembrerebbero essere due. La prima è a favore di quali autorità dovrebbe risolversi la questione, con i repubblicani che sembrano preferire una soluzione più statale e i democratici che preferirebbero una normativa che dia più ampi poteri alle agenzie federali.
La questione riserve è la seconda maggiormente dibattuta. Circola voce che si stia ingrossando il fronte di chi vorrebbe permettere agli stablecoin, o meglio a chi li gestisce, di depositare delle somme direttamente presso Federal Reserve. Una soluzione di questo tipo permetterebbe, almeno in parte, di evitare il riproporsi di situazioni in stile Silicon Valley Bank e USDC – con Circle, emittente di USDC, che si è trovata nell’impossibilità di accedere a circa 3 miliardi di riserve almeno fino all’intervento di Federal Reserve.
La questione è decisamente più importante della diatriba tra security e commodity che sta causando non pochi problemi agli exchange. Gli stablecoin sono essenziali per il corretto funzionamento del mercato delle criptovalute e sono altrettanto fondamentali come fonte di reddito di exchange sempre più alla canna del gas a causa di volumi in forte discesa.
Dietro il sostegno agli stablecoin – e contro un loro ban – c’è la questione della supremazia del dollaro USA su scala globale. Normative troppo stringenti finirebbero per limitare l’appetibilità del dollaro per un mercato ancora piccolo, ma che sposta già miliardi.
Una normativa che favorisca chi opera negli USA potrebbe essere un importante assist a USDC, americano da capo a fondo, contro altri stablecoin che invece operano con società estere.
Congresso e politica USA sono affaccendati nelle ben più pressanti questioni che riguardano il tetto del debito e con ogni probabilità difficilmente vedremo degli aggiornamenti su questa vicenda a breve.
Tutto questo però mentre il tempo stringe. Tether, che ha certamente rapporti più conflittuali con il regolatore USA e che opera tramite una società estera continua a guadagnare posizioni e anche a incassare quantità incredibili di profitti.
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