Una storia di crimine organizzato, come tante purtroppo ne avvengono nel nostro Paese. Questa volta però i colleghi de Il Fatto Quotidiano non possono fare a meno di infilarci Bitcoin, direttamente nel titolo, nonostante la supposta federazione delle tre principali organizzazioni mafiose d’Italia fosse impegnata in qualcosa di molto più preoccupante.
Tutto sarebbe partito, racconta Davide Milosa, da una telefonata anonima, che dopo varie vicissitudini avrebbe portato alla scoperta di… centinaia di migliaia di euro riciclati niente di meno che nel circuito dei bitcoin.
Un deposito di armi, quasi 500.000 euro in mazzette di euro e a quanto pare, questo è quanto è dato capire dal report pubblicato da Il Fatto Quotidiano, dei “server e computer” che – emerge chiaramente dice il giornale – sarebbero serviti per investire denaro nel campo dei Bitcoin.
Sulla questione sono intervenuti – con toni così simili da far pensare alla rielaborazione di un comunicato della GdF – sia i giornalisti di Repubblica sia quelli de Il Fatto Quotidiano. Secondo quanto riportato da entrambe le testate, successivamente alla perquisizione di un capannone alla periferia nord di Milano, in quel di Lainate, la Guardia di Finanza di Magenta avrebbe recuperato:
Evidentemente meno interessanti, dato che non hanno portato i giornali ad attaccare l’Euro come valuta dei criminali.
Non è chiaro di cosa si tratti, non è chiaro se siano semplici computer con i quali i criminali ancora in attesa di indagini e giudizio stessero comprando $BTC oppure se fossero impegnati in questioni più complesse come il mining. Entrambi gli articoli sulla questione si sono espressi con toni dozzinali che non aiutano in alcun modo a capire cosa sia effettivamente successo.
Nel caso in cui si fosse trattato di acquisti di Bitcoin presso chissà quale exchange, sarebbe curioso capire come i denari (forse) ricavati dalla vendita delle armi si siano digitalizzati. Nessuno degli exchange che operano a livello mondiale è in grado infatti di accettare contanti, per posta o consegnati a mano, e servirà stabilire – ammesso che sia vero quanto è stato raccontato – la responsabilità di altri canali nel trasferire denaro.
Si parla di ricco business in Bitcoin – senza che venga poi esplicitato di che tipo fosse il business e di come abbiano effettivamente operato i supposti criminali.
Non è la prima volta che ci imbattiamo in ricostruzioni tecnicamente fantasiose e che inseriscono Bitcoin nella storia per renderla giornalisticamente più appetibile. Ci era capitato di dover offrire chiarimenti a Ansa relativamente a una storia che con Bitcoin non c’entrava assolutamente nulla, ma per la quale BTC fu comunque ritenuto responsabile.
La storia del passato riguardava la Guardia di Finanza di Pescara e il sequestro di un conto corrente in un paese sul Baltico, che per qualche motivo fu associato a Bitcoin come se non si fosse trattato di un comunissimo conto in banca.
Solito giornalismo, verrebbe da dire. L’utilizzo sensazionalistico di Bitcoin – da associare sempre a movimenti loschi se non apertamente criminali – è un vizietto che i colleghi della stampa mainstream non si toglieranno nel breve periodo. A noi il compito, quando necessario, di cercare di fare un po’ di chiarezza.
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E' la vecchia tecnica per ingannare il popolo bue. Ma la maggior parte del popolo non ignora più certi fatti ed è molto informato. Per quel che riguarda la mafia oltre che assassini sono anche uomini d'affari e se conviene investire in bitcoin lo faranno sicuramente, si tratta sempre di denaro.