Ancora stretta sulle banche russe da parte degli exchange, dopo che durante la settimana scorsa le autorità degli USA avevano lasciato intendere la volontà di attaccare quegli exchange che ancora avevano rapporti con banche sottoposte a sanzioni. Ad aprire le danze è stato Binance, che ha interrotto la possibilità di utilizzare quelle banche anche per i servizi P2P, e ora si sono aggiunti anche OKX e Bybit.
Si teme per l’ingresso a gamba tesa delle autorità USA, che già nel corso degli ultimi mesi non si sono dimostrate granché morbide nei confronti delle società che offrono scambi su Bitcoin e crypto, in particolare se non registrate negli USA o se comunque con servizi gestiti da fuori dai confini di Washington.
Una situazione però che ci appare come ingigantita, dato che nella nostra ultima indagine sul Magazine ci siamo occupati proprio dei trasferimenti di denaro dalla Russia alla Turchia per aggirare le sanzioni, utilizzando anche le crypto ma senza… passare dagli exchange.
Sono due gli exchange che hanno deciso di reagire immediatamente agli attacchi partiti dai giornali – e pilotati dal DOJ – riguardanti la possibilità per gli utenti russi di utilizzare certe banche all’interno degli exchange. A destare la preoccupazione (e a innescare la possibile reazione) delle autorità USA sono quelle banche sottoposte di fatto ad un embargo finanziario e che hanno ormai da tempo zero possibilità di accedere ai circuiti internazionali tramite SWIFT.
Secondo quanto è stato riportato da diverse testate russe, non ci sarebbe ora la possibilità di utilizzare banche come Sberbank anche per ricevere denaro P2P da quelle piattaforme, segno del fatto che anche soltanto l’aver agitato minacce a mezzo stampa ha in realtà spaventato gli exchange a sufficienza. Anche quando, come nel caso di OKX e di Bybit, non hanno propriamente sede negli Stati Uniti.
Tutto questo mentre parliamo di capitali minimi che sono spostati attraverso questo canale – con i professionisti del contrabbando di denaro che hanno scelto vie ben più proficue e più difficili da controllare – dove gli exchange non c’entrano nulla proprio perché anello debole che è il più facile da attaccare per le autorità.
Sta di fatto che a pagare sono utenti che con ogni probabilità spostavano poche centinaia di dollari tramite il proprio conto personale e che difficilmente avrebbero potuto fare da appoggio ad operazioni più articolate a favore di oligarchi o di soggetti presenti in blacklist.
Le autorità, in particolari quelle USA, si sono lamentate più e più volte di avere difficoltà ad implementare e a far rispettare regole da parte degli operatori crypto offshore. Difficoltà che a quanto pare, almeno in questo frangente, è venuta meno, con 3 exchange di dimensioni importanti che hanno deciso di interrompere certi servizi nonostante manchino ancora richieste formali o indagini avviate e concrete.
Segno che gli intermediari crypto non possono fare altrimenti – e che in presenza di minacce di una certa caratura, hanno più che interesse ad omologarsi.
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