La prigione di Tocoron, in Venezuela, è tornata sotto il controllo delle autorità. Un’operazione imponente che ha coinvolto – per quanto indirettamente – anche Bitcoin. Ma partiamo dall’inizio: ci sono voluti 11.000 tra poliziotti e militari – e il supporto di carri armati e veicoli corazzati per riprendere possesso di una struttura che era saldamente nelle mani delle gang.
E che era stata usata per anni come una sorta di sede centrale delle operazioni. E tra lanciarazzi, armi da assalto, spazi per il relax e addirittura zoo con animali esotici, allibratori per le cose ai cavalli, officine moto… anche delle macchine ASIC che venivano utilizzate, almeno secondo quanto è stato riportato dalle autorità, per il mining Bitcoin.
Una situazione ai limiti dell’assurdo che fa da vetrina, per quanto in modo che non piacerà a molti, anche l’attività alla base del funzionamento di Bitcoin – e che con ogni probabilità sarà utilizzata dai detrattori per dimostrare un inesistente legame tra Bitcoin e criminalità.
Quanto avvenuto a Tocoron ha avuto ampia copertura su tutti o quasi i media internazionali. Con un’operazione piuttosto imponente infatti il governo venezuelano ha ripreso il controllo della prigione che era diventata una sorta di cittadella del crimine, controllata dalla gang Tren de Aragua. Un gruppo che vanta – secondo le stime – circa 5.000 memmbri e che ora dovrà trovarsi un nuovo quartier generale.
L’irruzione dei militari e della polizia ha rivelato dei dettagli molto interessanti su quanto si trovava all’interno di questa enorme struttura. Dalle moto alle TV, passando per condizionatori, piscine e anche una piccola banca. Qualcosa che forse in pochi si sarebbero aspettati di vedere in carcere, per quanto di fatto sotto il controllo di una gang.
Ad interessare di più i lettori di Criptovaluta.it sarà però quanto è stato trovato in termini di macchine ASIC. Lo screenshot che abbiamo inserito sopra (AFP ©) mostra infatti, tra la merce sequestrata, anche una relativamente piccola dotazione di macchine ASIC utilizzate per il mining Bitcoin.
Un’attività su Bitcoin che è stata sempre uno dei pallini del governo venezuelano, che più volte negli ultimi anni ha proceduto a sequestri dopo aver tentato anche di bandire tali attività per legge.
Quasi niente di nuovo dunque, con le operazioni di mining illegali che in Venezuela sarebbero piuttosto frequenti nonostante i numerosi blackout e la difficoltà per una parte rilevante della popolazione di accedere a energia elettrica in modo costante.
Se questa storia prenderà piede – e dovrebbe farlo, almeno a nostro avviso – leggeremo sicuramente parte dei media tradizionali accusare Bitcoin e il mining di essere attività da delinquenti. Come se lo fossero ad esempio i pappagalli esotici che pur sono stati trovati all’interno della struttura. O oppure le motociclette.
Non è chiaramente così: Bitcoin non c’entra nulla, così come non c’entrano nulla i sacchi di dollari o euro cash che vengono trovati periodicamente nella disponibilità dei gruppi criminali. La storia rimane comunque divertente: chissà a quale pool prendevano parte i gestori di questa mining farm.
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