Dietro la definizione Web3 si sono nascosti i più fumosi dei progetti. Una sigla che per molti – noi compresi – è nata vuota e che qualcuno però sta provando a riempire. Uno dei casi più interessanti, in termini di articolazione della proposta, è quello di Internet Computer Protocol, che viene proposto da tempo come un’alternativa concreta e funzionale al Web 2.0, la versione centralizzata della rete che siamo tutti abituati a utilizzare.
L’obiettivo è certamente ambizioso e abbiamo avuto modo di parlarne anche con il leader del progetto Dominic Williams in un’intervista esclusiva per il nostro giornale. Su richiesta dei nostri lettori, faremo una breve disamina di cosa significhi, almeno dalle parti di ICP, un Web 3.0 effettivo, che integri decentralizzazione, proprietà da parte delle community e un paradigma fondamentalmente diverso da quello del web basato sui grandi cloud di AWS, Microsoft e altre società di questo tipo.
Le idee sono interessanti, diverse sono state già implementate con successo e sarà il caso di parlarne in modo più approfondito.
La visione è interessante, in particolare perché è in aperto contrasto con quanto a ragione si è detto delle blockchain, almeno quando di vecchia generazione: sono ridondanti, lente e non possono offrire prestazioni che sono in linea con quelle dei servizi web.
ICP prova a fare le cose diversamente, basandosi su diversi punti di attacco a preconcetti che possono essere, evidentemente, risolti.
Si parla nella documentazione di ICP di Open Internet Services, che sono servizi internet aperti. Ma in che senso? Nel senso che sono distribuiti su una blockchain, e che sono in genere governati da DAO alle quali tutti possono prendere parte. Il caso che viene fatto è quello di OpenChat, che è appunto in deploy direttamente sull’infrastruttura di ICP, funziona, e offre prestazioni comparabili con quelle dei servizi centralizzati.
Anche i dati sono conservati on chain, permettendo alle community e ai partecipanti di esserne effettivamente proprietari, senza cessioni e tenendo sotto controllo quanto avviene. Un paradigma se vogliamo estremamente diverso da quello al quale siamo abituati.
Se il Web di prima generazione permetteva il consumo di contenuti, il Web 2.0 è arrivato offrendo un paradigma incentrato sulla produzione di contenuti da parte degli utenti. Il web di terza generazione, sempre secondo il paradigma offerto da ICP, sarà incentrato sulla proprietà di quanto si produce da parte della community e dei creator in generale. Token, NFT, ma anche l’amministrazione: la rimozione della centralizzazione passa anche da questo.
Con un meccanismo che è più virtuoso rispetto a metodi, anche quelli centralizzati, di monetizzazione sul Web 2.0.
Il paradigma, pertanto, c’è, è articolato e offre già delle soluzioni. Così come ci siamo sulle prestazioni, segnale che qualcosa anche in questo ambito si può fare, a patto di prendersi la briga di riempire una formula un tempo vuota con tecnica e contenuti.
Lo dirà il tempo: per ora possiamo contare su decine di applicazioni interessanti che funzionano come promesso e che utilizzano come infrastruttura proprio ICP.
Si sta lavorando, su questo non ci piove. E si sta lavorando più sul tecnico che sul marketing. È questa probabilmente l’unica via per superare certe resistenze e per offrire davvero valore tanto gli utenti quanto agli sviluppatori in un ambito più decentralizzato rispetto a quello odierno.
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