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GUERRA FREDDA

Bitcoin: miner vince contro la comunità locale | Ombre cinesi

Una storia dove si incrociano ambiente, Bitcoin, paperelle e... il Partito Comunista Cinese.

A quanto pare le accuse verso un sito di mining Bitcoin in Arkansas erano in larga parte false. Questo almeno secondo i giudici che sono stati chiamati a decidere, in via preliminare, sulle veementi proteste di una comunità che – con toni invero assai duri – si era opposta alle operazioni di mining di Jones Digital LLC.

Tra i problemi citati dai residenti a DeWitt, piccola contea dell’Arkansas, il rumore e supposti impatti ambientali che poi in realtà si sono rivelati essere assai miseri. Qualcosa che si è già visto altrove negli USA, questa volta però con toni più alti e più preoccupati, che riguardano anche la presenza cinese sul territorio. Per ora però la spunta il miner, che potrà continuare indisturbato, tanto dalla legge quanto dai residenti, il suo cammino.


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Vince il miner Bitcoin, per ora

Nelle scorse settimane e negli scorsi mesi Jones Digital era stata accusata di qualunque tipo di nefandezza. Oltre alle solite questioni ambientali e al rumore, tipico degli attacchi a ogni operazione di mining Bitcoin negli USA e anche altrove, Jones è stato anche accusato di essere “un’altra operazione di mining crypto dei comunisti cinesi”.

Fatto sta che a prescindere dalle infamanti accuse mosse verso il miner, tra le quali anche quella di allontanare la locale popolazione di papere, il giudice ha deciso di fare diversamente e di garantire al miner in questione la possibilità di andare avanti, senza che le autorità locali abbiano la possibilità di infastidirne le operazioni.

Come è successo già in diversi casi proprio negli Stati Uniti, i giudici hanno infatti rivelato che il grosso delle accuse sono infondate, che i sistemi di raffreddamento a acqua non riversano nulla in natura – perché sono circuiti interni – e che anche al massimo livello di operazioni, il rumore prodotto è più che tollerabile.

Una questione in realtà assai politica

La questione è in realtà più politica che altro. In una delle petizioni nate più di recente, si attacca infatti piuttosto direttamente la governatrice dell’Arkansas, Sarah Huckabee Sanders, che è stata in passato anche portavoce alla Casa Bianca durante la presidenza Trump.

Questo era uno dei pochi stati che non aveva mining Bitcoin. Sono Sarah Huckabee Sanders e la nostra legislatura che hanno dato loro il benvenuto a braccia aperte. E c’è dell’altro, non si tratta di piccoli business a conduzione familiare: sono grandi conglomerati che non hanno neanche residenza negli USA.

E ce n’è anche per il partito comunista cinese, che non è chiaro com’è che sia coinvolto in questa operazione:

Il nostro paese deve fronteggiare tanti nemici, che vivono anche tra noi, e il Partito Comunista Cinese è certamente uno degli avversari più conosciuti. La Cina ammette apertamente che l’America è il suo nemico più grande.

La petizione poi prosegue su altri temi, come quello della leva obbligatoria, chiaramente senza alcun tipo di legame effettivo con Bitcoin.

La questione della “proprietà cinese” è discussa in realtà da tempo, anche per altre attività sempre in Arkansas, con strutture societarie non sempre limpide. Questo però, a quanto pare, non sarebbe un reato negli Stati Uniti, per quanto sia diventato fonte di preoccupazione per almeno una parte dei residenti.

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