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Giudice contro SEC

SEC contro il crypto exchange: il giudice… non è convinto!

Un clima non esattamente ideale per SEC, che apre così il processo contro Coinbase.

Siamo alla prima udienza di quello che sarà un processo potenzialmente lungo e che sarà definitorio per la posizione degli exchange e più in generale del mondo crypto negli Stati Uniti. Da una parte c’è l’accusa, SEC, dall’altro la difesa, Coinbase. In mezzo una dozzina di token e l’infamante accusa di aver venduto contratti di investimento, quelle che negli USA chiamano security, senza autorizzazione.

Chi segue Criptovaluta.it da tempo conoscerà già i fondamentali di questo importante procedimento legale. Ne abbiamo parlato sul nostro Magazine – che vi invitiamo a consultare per capire il perché e il come di una causa legale che sarà seguita da tutti gli appassionati.

Una causa legale che per Coinbase – e non solo – non ha ragion d’essere. I token citati non sarebbero security e dunque l’azione di SEC non potrebbe proprio avere luogo, in quanto questa agenzia governa appunto soltanto il mercato dei contratti di investimento. Di opinione ovviamente avversa SEC, che però ieri è stata rimproverata più volte dal giudice che presiede la causa, Katherine Failla.

Una causa definitoria per tutto il comparto

Non è una causa come le altre. Da un lato c’è la solita agenzia governativa, SEC, che da tempo cerca di occupare anche lo spazio crypto in termini di estensione dei suoi poteri.

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Dall’altro c’è un exchange crypto, Coinbase, che non solo è quotato in borsa negli USA, ma è anche base per la custodia e gli scambi di molti degli ETF Bitcoin che sono nati negli USA. Si tratta pertanto di un exchange che ha legami finanziari e politici con diversi dei cosiddetti pezzi grossi della finanza USA.

Il motivo del contendere è lo stesso che ha portato SEC ad attaccare altri exchange negli USA: i token crypto sarebbero security, titoli di investimento, e dovrebbero pertanto essere registrati.

Una definizione che però non è stata granché recepita dal giudice, che ha commentato più volte con toni piuttosto duri contro gli avvocati di SEC. Chiedendo infatti a questi se chi ha emesso i token “sotto inchiesta indiretta” avessero violato le leggi sulle security, si è vista rispondere dagli avvocati di SEC:

Non esattamente, vostro onore. I token che sono citati nella denuncia sono codice informatico”.

Al che, come riporta anche The Block, il giudice ha risposto:

Sto sorridendo, signore, perché questo è quello che hanno detto i vostri amici al tavolo sul retro e si chiedono perché siamo qui.

IL riferimento è appunto a Coinbase, che contesta che in primo luogo che si tratti di security, cercando così di far cadere l’intero impianto accusatorio dell’agenzia governativa.

L’estensione dei poteri di SEC

È questo in realtà il punto fondamentale di tutta la vicenda. Tali token sono o non sono security?

Il rischio, percepito anche dal giudice, è che SEC si arroghi il diritto di vigilare su un mercato che non le compete.

La vera preoccupazione che ho è che stiate tentando di allargarvi eccessivamente.

Questo è quello che a chiare lettere ha detto il giudice durante la prima udienza, facendo l’esempio degli oggetti da collezione, che potrebbero finire sotto il controllo regolamentare di SEC.

Qualcosa che gli avvocati di SEC hanno chiaramente negato, dimenticando forse che in passato si sono mossi proprio contro… diverse collezioni digitali, in forma di NFT ma prive delle caratteristiche dell’investimento così come richiamato dalle leggi USA.

Oggi sarà il turno di Coinbase, che dovrà rispondere alle domande del giudice. La migliore delle opzioni sul tavolo, per il mondo crypto, è che il giudice decida di non procedere ulteriormente. Ipotesi almeno a nostro avviso per ora remota.

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