L’Europa avanti agli Stati Uniti? Sì, almeno sotto il fronte dei prodotti finanziari basati su asset crypto. È il caso di CoinShares, che tra le altre cose ora è presente negli USA dopo aver acquisito Valkyrie, e che ha trovato un modo per rendere i suoi ETF pressoché a costo zero per gli utenti, almeno nel caso in cui il sottostante sia un coin o token in Proof of Stake.
Nella giornata di ieri il gruppo ha infatti annunciato anche per gli ETP su Ethereum quotati in Europa quanto aveva fatto in passato su altri prodotti. I proventi dello staking saranno in parte condivisi con gli utenti, andando ad abbattere le commissioni di gestione. Una situazione interessante per gli investitori – che però sarà meritevole di analisi perché complicata sul fronte numerico e non necessariamente… conveniente per tutti. Puoi venirne a discutere anche sul nostro Canale Telegram, se hai domande aggiuntive o vuoi semplicemente ricevere gratis notizie in anteprima.
Siamo ad un momento di svolta per gli ETF e più in generale per il rapporto tra mondo della finanza tradizionale e criptovalute. Che si tratti di Bitcoin, di Ethereum o di altre crypto, questo meccanismo andrà certamente indagato, per quanto potrebbero esserci problemi, come vedremo più avanti, almeno negli USA.
L’idea è semplice: gli Ethereum che vengono raccolti dall’ETF vengono messi in staking e parte di questi proventi vengono appunto distribuiti a chi detiene le quote. Un meccanismo semplice, che però è in grado di abbattere le – relativamente esose – commissioni per la gestione di questo tipo di prodotti.
La compagnia in realtà già con il passaggio a Shanghai aveva deciso di rimuovere le commissioni, forte del fatto che avrebbe incassato percentuali ben più interessanti appunto dallo staking. Ora però c’è anche da guadagnare fino all’1,25% in aggiunta: tutti denari che arrivano appunto dalla gestione dell’ETF e del fatto gli $ETH vengano messi a staking.
Una soluzione piuttosto elegante, che però apre a diversi tipi di problemi, in parte negli USA, in parte in via generale.
In realtà di servizi che permettono agilmente di partecipare allo staking senza avere il minimo di 32 ETH necessari e senza cimentarsi nella gestione tecnica della cosa ce ne sono già diversi. Questi però non hanno la forma, ben più solida per il risparmiatore medio, degli ETP/ETF/ETN. E quindi la scelta, assolutamente libera per il risparmiatore, è tra il correre magari qualche rischio (solo percepito) in più con la detenzione diretta e le piattaforme di liquid staking, oppure procedere con un ETP/ETF/ETN, che ha una custodia garantita e altri tipi di vantaggi in termini di sicurezza.
Se gli ETF Ethereum negli USA e altrove dovessero seguire quanto è stato fatto già con quelli Bitcoin a New York, no. Gli statuti degli ETF dicono che i coin in custodia non possono essere prestati o impiegati e questo dovrebbe precludere la possibilità di avere staking da parte degli ETF.
La questione è certamente ancora aperta, ma è nondimeno interessante anche per un’altra questione: detenere un gran numero di coin in un protocollo in Proof of Stake non è neutro rispetto al funzionamento del protocollo stesso.
Un sottile gioco di equilibri che sarà uno dei temi più caldi non solo dei prossimi ETF Ethereum, ma anche di eventuali altri prodotti sulle crypto che dovessero affacciarsi sul mercato USA.
Rimane poi centrale un’altra questione: c’è grande fermento all’incrocio tra Finanza Tradizionale e mondo crypto.
Fermento che troverà anche nuove forme, come quella di CoinShares, sfruttando le particolarità e le peculiarità dell’uno e dell’altro mondo.
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