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Bitcoin: gli USA vogliono tutto il mining? Il piano di Donald Trump ha dei PROBLEMI. Ed è il caso di parlarne

Donald Trump vuole tutto il mining negli USA. E lo ha ribadito ieri. Ma è un problema per Bitcoin?

C’è grande fermento sui social riguardo l’ultimo discorso di Donald Trump a favore di Bitcoin. Era in Florida, e ha ripetuto le sue intenzioni di avere degli Stati Uniti che controllano una fetta importante, quasi totale, del mining di Bitcoin. È una buona cosa? Perché tutti se ne rallegrano?

È un’apertura, per quanto in campagna elettorale, di un contendente alla Casa Bianca che – tra le altre cose -sembrerebbe essere in vantaggio. E dunque se ne rallegrano tutti coloro i quali temevano il pugno duro degli States sulla tecnologie e sull’asset che tutti amiamo. Se il piano di Donald Trump dovesse però andare in porto, ci saranno altre considerazioni da fare.

E sono considerazioni che ad avviso di chi vi scrive vanno fatte, anche per capire la geopolitica del mining e le sue conseguenze, che potrebbero essere un disastro (parafrasando un noto libro che in pochi hanno fortunatamente letto) per la razza Bitcoin.

Donald Trump vuole tutto il mining negli USA: è possibile?

L’antefatto dovreste conoscerlo tutti: Donald Trump ha sposato a fini elettorali la causa di Bitcoin e gira allegro gli Stati Uniti raccontando di quanto bene farà per il settore. Promesse elettorali per qualcuno, segnale della svolta per altri. A prescindere dal giudizio politico della cosa, che lasciamo al libero intendimento del lettore, ci sono delle questioni prima, durante e dopo questo eventuale passaggio.

  • Come sarà possibile?

I miner si muovono secondo logiche relativamente semplici. La loro principale (e quasi unica) voce di spesa è l’energia elettrica. E tendono a preferire paesi dove ve n’è abbondanza, o dove comunque si possono portare in tempi brevi (e con costi ridotti) lavori per creare o recuperare centrali elettriche.

Gli USA hanno una fetta importante di questo mercato, perché in diversi stati ci sono le condizioni (quasi) ideali per operare in tal senso. Ma questa non è l’unica preoccupazione.

  • Stabilità politica

No, non si intende il rischio di golpe o di cambio di regime. Gli Stati Uniti sono uno dei sistemi politici più stabili al mondo e certamente causano meno preoccupazioni ai miner di tante altre location comunque popolari per certe attività.

La stabilità politica di cui vi parlo è la ragionevole certezza di non essere importunati in futuro, anche con un cambio al vertice del governo. Da un lato questa certezza non c’è: nessuno garantisce ai democratici che il prossimo presidente ancora non sarà uno di quelli che hanno interesse a soffocare Bitcoin. Tuttavia, l’arco temporale all’interno del quale questi cambiamenti avvengono è di 4 anni, più che sufficiente per dare sicurezza a chi gestisce questo tipo di attività.

Si ma i problemi?

Ad avviso di chi vi scrive ce n’è qualcuno.

  • Concentrazione nella stessa giurisdizione

Il semi-ban cinese ci ha fatto capire che in realtà i miner sono molto rapidi a spostarsi quando arrivano i problemi. Tuttavia ritengo che una concentrazione eccessiva dei miner all’interno della medesima giurisdizione sia forse non un pericolo, ma qualcosa che in un mondo ideale si potrebbe e si dovrebbe evitare. Una fetta enorme di hashrate diventerebbe più facile da attaccare per le vie politiche – e ci sarebbero anche dei discorsi da fare in termini di FATF, sanzioni e compagnia, che però verrà fatto in altro luogo e in altro approfondimento.

  • Competizione con l’AI

Gli Stati Uniti stanno facendo di tutto per avere un vantaggio competitivo enorme sull’AI. Già i chip più performanti non possono essere esportati verso paesi non perfettamente allineati alle politiche di Washington – e le grandi aziende che offrono calcoli per questo settore avranno una protezione importante nello stabilirsi nel primo mercato per questo tipo di attività.

Ci sarà competizione sull’energia elettrica, che negli USA potrebbe toccare anche la fetta di energia che consuma Bitcoin. Certo, è il mercato bellezza, e sempre in virtù delle dinamiche di mercato i miner potranno togliere le tende e stabilirsi laddove la competizione è meno… serrata. Ma è comunque qualcosa da considerare al fine di valutare il piano di Trump, ammesso che di piano si possa parlare.

Per tutto il resto, varrà la pena di ricordare che le intenzioni di Donald Trump non necessariamente saranno degli ordini per il settore mining. E che già tanti – basta seguire le nostre cronache, sono a caccia di possibilità in location certamente più esotiche di quelle statunitensi.

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