Su Vita, a firma di Giampaolo Cerri, è stato pubblicato eri l’ennesimo articolo di attacco a Bitcoin, associato ancora una volta a truffe di ogni genere e risma e – per il caso particolare – alle pubblicità che purtroppo affollano social network come Instagram.
Sgombiamo però il campo – subito – da un possibile equivoco: le truffe sono una cosa seria, vanno combattute con tutte le nostre forze e con accanimento maggiore da chi, come noi, ha visibilità nel settore. Ci fa piacere anche vedere la stampa mainstream occuparsene. Bitcoin, tuttavia, non c’entra assolutamente nulla. È poco più di uno specchietto per le allodole utilizzato da truffatori professionisti che, alla bisogna, ricorrono a qualunque tema o asset sia in grado di solleticare l’avidità (che è poi il sentimento su cui si basano per pescare polli da spennare) di chi legge certe pubblicità.
Pubblicità che non sono nuove, che non sono nate con Bitcoin e che, purtroppo per Giampaolo Cerri e per chi avrà preso per buono quanto riportato dal suo articolo, non sono certamente sponsorizzate da quelli che il Cerri definisce come signori del Bitcoin.
Attenzione: se ti hanno proposto investimenti con rendite certe in Bitcoin o crypto, sei la potenziale vittima di una truffa. Sul nostro Canale Telegram possiamo aiutarti e analizzare l’offerta, per indicarti (come è molto probabile) se si tratti di truffa o meno.
Il tema è di quelli importanti: le truffe online dilagano e – come nel caso di Gianfranco Bonzi – possono portare a conseguenze anche peggiori della perdita totale del capitale investito.
C’è un primo problema, che però dall’articolo di Giampaolo Cerri per Vita non viene neanche sfiorato: le principali piattaforme social non conducono i controlli dovuti sul materiale pubblicitario tramite il quale incassano miliardi. Sarebbe lecito aspettarsi dei controlli, anche minimi, per evitare che certe pubblicità vengano servite a milioni di utenti. Dopotutto, come sottolinea correttamente il Cerri, non ci vuole un gran genio per rendersi conto degli intenti truffaldini di suddette pubblicità. Vengono utilizzate immagini della famiglia Agnelli, della famiglia Berlusconi, che in realtà non c’entrano nulla e che sono vittime collaterali di queste operazioni truffaldine.
C’è poi un secondo problema: l’ignoranza. È vero che – nello specifico nel nostro Paese, per quanto il fenomeno sia diffuso urbi et orbi – l’educazione finanziaria sia ai minimi. Ma anche questo non può essere un problema di Bitcoin, che invece ha spinto tanti a studiare e a occuparsi di temi (vedi quello della moneta e delle banche centrali), che viene invece bellamente ignorato dalle nostre scuole.
C’è anche, ahinoi, un terzo problema. Il Cerri loda le iniziative delle banche – in particolare quelle di credito cooperativo – nel cercare di educare (anche nelle scuole) gli investitori di domani. Vero, è certamente degno di lode, ma ci sarebbe anche da chiedersi com’è che le banche siano passate dall’essere uno dei punti fermi delle nostre comunità, il simbolo stesso dell’affidabilità, a istituzioni che fanno venire l’orticaria al grosso della popolazione anche soltanto a sentirle nominare.
Per quanto non siamo così ingenui da ritenere il pattume spacciato dai truffatori come di pari grado ai titoli venduti dalle banche, tra bond argentini, bond Parmalat, spericolati fondi gestiti proposti ai piccoli risparmiatori a 3 mesi dalla più grande crisi di sempre… il sospetto che le banche partecipino allo stesso casinò è forte. Certo, lo fanno in modo più sottile. Certo, lo fanno senza intento diretto di truffare, ma sul fatto che certi eventi del passato abbiano avuto un ruolo nello spingere la popolazione generale a credere alla qualunque, qualche sospetto lo nutriamo.
Uno sguardo più attento a quanto avvenuto nel mondo delle truffe renderebbe chiara una cosa: i truffatori sono agnostici, come abbiamo detto sopra. E sfruttano qualunque tipo di asset sia associato, nella testa del pubblico generale, alla possibilità di grandi guadagni.
In passato lo abbiamo visto con le azioni Amazon, con quelle di Poste, con il Forex e anche con le opzioni sulle materie prime. Il quid non conta: basta avere un appoggio retorico alla possibilità di generare grandi guadagni.
Bitcoin, come gli Agnelli e i Berlusconi, è vittima dei truffatori – così come lo siamo noi che cerchiamo di diffondere una cultura finanziaria corretta a tema Bitcoin e crypto.
Se ci sentiamo ripetere, da tanti novizi, che dopotutto Bitcoin è una truffa, è per i meccanismi di cui sopra. E non per colpe di Bitcoin né di chi ne diffonde la conoscenza senza intento alcuno di truffare il prossimo.
E no, caro Giampaolo, Bitcoin non ha signori. Ed è proprio questo a renderlo grande, anche se qualche truffatore decide di appropriarsi della narrativa della crescita importante di valore di questo asset per mettere le mani in tasca a tanti sprovveduti.
Chiudiamo con un piccolo consiglio ai tanti giornalisti d’inchiesta che vogliono scovare il marcio in Bitcoin. Basta farsi un giro rapido su Google News per rendersi conto di quante testate con tanto di registrazione pubblichino, dietro lauto compenso, pubblicità di pre-sale, ICO e altri meccanismi truffaldini del mondo crypto.
Indagare è semplice, pubblicare lo è ancora di più – e si offrirebbe un enorme servizio all’esercito di sprovveduti che arricchisce il conto in banca dei truffatori della peggior specie. Noi, per Giampaolo Cerri e per tutti gli altri giornalisti mainstream più interessati ad attaccare Bitcoin che i truffatori, siamo sempre a disposizione. I nostri contatti sono nel footer di questo sito – e non abbiamo mai rifiutato aiuto a nessuno, anche a chi si è approcciato a Bitcoin dall’angolo che riteniamo essere più sbagliato.
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