Pavel Durov, fondatore e CEO di Telegram, è stato arrestato nella serata di sabato 24 agosto in Francia. Le accuse sono delle più infamanti: aver favorito terrorismo, pedofilia, traffico di armi di droga per omessi controlli e moderazione sulla piattaforma che controlla. Accuse infamanti che potrebbero costargli fino a 20 anni di galera proprio in Francia.
La questione ha innescato – come prevedibile – discussioni accese sui social network, tra colpevolisti ve l’avevo detto e chi invece vede nell’arresto di Pavel Durov l’ennesimo colpo ben assestato alla libertà di parlare, pensare e comunicare in Europa.
La vicenda si interseca con il mondo crypto, sia al livello più superficiale delle quotazioni di $TON (criptovaluta in caduta libera perché legata appunto a Telegram), sia a livello più profondo, che riguarda le basi filosofiche sulle quali si è sviluppato l’intero movimento, a partire da Bitcoin.
La notizia ha cominciato a girare dalla tarda serata di venerdì. Pavel Durov, una volta atterrato in Francia, è stato intercettato dalla polizia francese, che lo starebbe tuttora trattenendo. Le accuse, per quanto manchino ancora i dispacci ufficiali, riguarderebbero l’assenza di moderazione – come più volte richiesto dalle autorità francesi – dei contenuti che vengono diffusi tramite la piattaforma di Telegram.
È stata invocata la solita Trimurti strumento di ogni legge restrittiva della libertà: pedofilia, terrorismo, traffico di droga e di armi. Da come l’hanno riportata grandi giornali, da Repubblica in giù, verrebbe quasi da pensare che Durov sia stato attivamente coinvolto nella diffusione di certo abominevole materiale. In realtà viene accusato di certi reati perché non avrebbe moderato a sufficienza. Una sufficienza stabilita, ça va sans dire, dalle autorità francesi.
Le reazioni, anche tra i bitcoiner più radicali, non sono state omogenee. C’è chi si è preoccupato di quello che – anche a chi vi sta scrivendo – appare come l’ennesimo attacco alle piattaforma che non rispondono sempre presente! alle richieste delle autorità.
C’è chi invece se la ride sotto i baffi, perché Pavel Durov avrebbe commesso due imperdonabili errori – almeno secondo il loro impianto ecologico. Primo: al contrario di Satoshi Nakamoto cia avrebbe messo la faccia, esponendosi così all’ovvia ritorsione statale. Secondo: non avrebbe mai preso troppo seriamente la crittografia end to end, esponendosi così ai ficcanasi di ogni genere e sorta, compresi quelli che si guadagnano da vivere nelle procure di mezzo mondo.
Trattandosi di editoriale – e dunque di spazio che su Criptovaluta.it riserviamo alle opinioni personali di chi scrive, c’è la possibilità di scendere ancora di più nel dettaglio della questione.
Bitcoin in particolare – e in parte altri protocolli disponibili nel mondo crypto – sono nati per essere resistenti a questo tipo di attacchi. L’identità di Satoshi Nakamoto è tuttora segreta, almeno per il grande pubblico, e anche se dovessero arrestarlo (ammesso che sia ancora vivo), Bitcoin non ne risentirebbe.
È un protocollo distribuito, decentralizzato e che funziona benissimo anche nel resistere ad attacchi di questo tipo.
Sulla questione si dovrebbero forse spendere parole più sagge (perché la questione come sempre è più complicata di qualche slogan da social), ma è generalmente e superficialmente vero che Bitcoin può resistere agli attacchi delle entità statali, per quanto buone o cattive le si possa considerare.
Quella inflitta a Pavel Durov sarebbe dunque una giusta punizione per leggerezze tanto tecniche quanto ideologiche, o detta più banalmente, per aver osato mettere la testa fuori da quelle catacombe nelle quali tanti bitcoiner – me ne rammarico personalmente – sembrano aver trovato il loro habitat ideale.
Se è vero che Bitcoin è riuscito a creare uno spazio di libertà e di resistenza, è per chi vi sta scrivendo altrettanto vero che, se sono questi gli ideali in cui crediamo, andrà rivendicata la piena libertà di farlo anche alla luce del sole.
A poco serve, per il mondo migliore che Bitcoin, bitcoiner e anche appassionati crypto vogliono costruire, poter esercitare certe libertà soltanto sotto la superficie, dove nessuno ha risorse, competenze o possibilità per spiare.
La notizia dell’arresto di Pavel Durov ha fatto crollare $TON, criptovaluta che viene appunto utilizzata sull’omonimo network, che è legato a Telegram. Ed è chiaramente la questione che interessa di più tanti investitori, purtroppo (anche per colpa di chi vi scrive) poco affezionati ai temi che hanno portato alla nascita dell’intero movimento.
A prescindere da come la si pensi sulla questione Pavel Durov, quanto avvenuto ieri sera è molto più importante di qualunque movimento di prezzo, perché è un attacco diretto a tutto quello in cui crediamo e comunque al funzionamento stesso di protocolli come Bitcoin.
Perché se è vero che il protocollo può resistere, è altrettanto vero che si dovrà combattere, nel caso, verso leggi e attacchi in tribunale verso chi vi partecipa. Perché non sarebbe affatto auspicabile vivere in un mondo dove, tanto per fare un esempio, venga demandata a chi partecipa alla creazione dei blocchi l’identificazione preventiva sia di chi sta inviando quella transazione, sia l’indagine sul motivo del pagamento.
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