Le affermazioni straordinarie hanno bisogno di prove straordinarie. Il tempismo, tuttavia, rimane invero assai sospetto. Nel giro di una settimana piomba sul mondo degli investimenti in Bitcoin e crypto prima la scure del governo italiano, poi quella di due vecchi (autodichiaratisi) nemici del comparto e, tra le due, anche un articolo su Avvenire, a firma però non di un vescovo, ma di un commissario Consob.
Per carità, tutto secondo la legge e tutto ampiamente dentro il diritto di critica che ciascuno possiede, soprattutto quando al vertice delle più importanti istituzioni finanziarie del continente.
Tuttavia è bene fare un paio di considerazioni: anche quando non c’è coordinazione, i nemici del comparto, quelli che vorrebbero vederlo affossato, si danno una mano; e anche in assenza di coordinazione, è bene ricordarsi che la guerra è appena iniziata, e che non sempre il compromesso di 1 anno fa sarà valido per l’anno prossimo.
Il cambiamento di paradigma per quanto riguarda la tassazione sulle criptovalute e Bitcoin era arrivato in verità lo scorso anno, con la presentazione di un lungo documento dove si coniava l’orribile termine cripto-attività e dove si chiariva quanto, come e perché pagare.
Al netto di questioni ancora da risolvere (cambiare in crypto stablecoin non riconosciuti dal MiCA è evento tassabile?) lo scambio era dei più chiari: venite a me, dichiarate tutto, fate i bravi ragazzi e pagate il 26% come gli altri investitori.
Cosa di buon senso, tant’è che in tanti avevano salutato con un certo entusiasmo l’arrivo di una legge che era la più organica per quanto riguarda la regolamentazione finanziaria del settore in Italia.
Finalmente è arrivata la regolamentazione, giubilavano quelli che non hanno capito che Bitcoin ha delle regole molto precise, e che piace poco proprio perché non possono essere cambiate a piacimento da chi è abituato a farlo.
È bastato però poco più di un anno per fare i conti con una verità delle più amare: non era un accordo, non era un contratto – e la sua vigenza è messa costantemente in discussione da chi vorrebbe ammazzare il settore (e in misura minore da chi è a caccia di pochi spicci per tappare i tanti buchi delle finanze repubblicane).
La tensione tra investitori crypto e Bitcoin e stato è ora ai massimi – e non potrebbe essere altrimenti dopo la bomba (metaforica) sganciata dal vice ministro Leo in conferenza stampa.
Colpa però di (quasi) tutti credere che l’accordo fosse di quelli tra gentiluomini, di quelli destinati a durare nel tempo e a fissare il modo in cui si sarebbero svolti i rapporti tra investitori da un lato e stato dall’altro.
12 mesi o poco più per dire ops, stavamo scherzando e per ricordarci che la guardia non va abbassata mai – e che probabilmente sarebbe più utile e intelligente fare le barricate – anche queste metaforiche – su ogni tipo di ingerenza.
Al netto di pareri assai autorevoli che sembrerebbero difendere il 42%, siamo in una posizione relativamente buona. Sembra che ci sia l’intenzione almeno da parte di uno dei partiti di maggioranza a dare battaglia.
E dato che la norma raccoglierebbe, nel caso, davvero pochi spiccoli, sarà difficile non prendere in considerazione la proposta di far finta che tutto questo non sia mai accaduto.
Saranno altri giorni di tensione, per quanto è difficile che il governo venga messo eventualmente a repentaglio per una questione he interessa sì 2 milioni di italiani, ma che in Parlamento sembra essere questione di poco conto.
Rimane il fatto che di nemici del comparto ce ne sono tanti e in tante stanze del potere. Hanno, per carità, tutto il diritto di detestare questo comparto. Bisognerà però da questa parte della barricata ricordarsi che puntano all’altrettanto metaforica giugulare, e che non hanno alcuna intenzione di vivere all’interno di un accordo che garantisca la nostra sopravvivenza. Ci vogliono morti – metaforicamente – e tanto basta per trarre le proprie conclusioni intellettuali.
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Dimenticano una cosa: 2 milioni di italiani rappresentano 2 milioni di voti !!!
Dobbiamo ricordare questo!!!