Fino ad ora i risultati ottenuti dal MiCA sono piuttosto modesti. Gli exchange che hanno intenzione di continuare a operare in Europa stanno ottenendo, alla spicciolata, licenze in uno dei Paesi membri così da poterle utilizzare su tutto il territorio europeo. Ed è forse la seconda parte di questa frase a racchiudere l’unico vantaggio oggettivo – che vale però più per gli exchange che per gli utenti – del MiCA e delle sue complicatissime regole.
Di contro, per il grosso degli utenti è il caos: non è chiaro cosa sia possibile fare e cosa non sia possibile fare. Non è chiaro se tutti gli exchange, ad esempio, dovranno procedere con il delisting degli stablecoin che non hanno ottenuto il bollino europeo, così come non è chiaro con quali modalità alcuni stablecoin abbiano ottenuto suddetto bollino.
Se era più trasparenza ciò che ci si aspettava, questa non è arrivata. È arrivato invece quel complicato contro il quale i più cinici mettevano in guardia, ignorati largamente dall’ipertrofico legislatore europeo. Un legislatore che sembra ora si sia accorto di normare più di quanto sia ragionevole fare, almeno negli altri comparti.
Più dubbi che certezze per chi vuole svuotare l’oceano con un secchio
Gli intenti del MiCA – come quelli di tutti i complessi e puntigliosi impianti normativi – erano forse anche nobili: tutelare gli investitori europei dalle truffe, metterli in condizione di scegliere intermediari che presentassero certi requisiti di affidabilità.
Buono, fondamentalmente, l’impianto che obbliga gli exchange che vogliono operare con il bollino a separare i loro capitali da quelli dei clienti. Buono anche il voler spulciare nelle riserve degli stablecoin, soprattutto se sopra una certa capitalizzazione. Male tutto il resto – e, per quanto riguarda chi vi sta scrivendo, male anche il modo in cui sono stati applicati i due concetti di cui sopra, che in tanti trovano sacrosanti.
La libertà di scelta
Ci sono pochi fatti che ricorrono con costanza nella storia dell’uomo e delle civiltà che ha creato e animato. Uno di questi è che, date restrizioni eccessive, l’uomo troverà il modo di continuare a fare ciò che per natura gli è necessario per sopravvivere: commerciare con i suoi simili, scambiarsi beni e servizi, anche se questo dovesse significare incorrere nelle ire delle autorità.
I mercati neri – ai quali dovrebbe essere riservata una parte più importante della storia dell’uomo che si racconta a scuola – sono stati ovunque, comunque e in barba anche ai più feroci dei regimi.
Cosa c’entrano i mercati neri con il MiCA? Facciamo qualche passo indietro. Ciò che il MiCA ha prodotto – non si capisce se volontariamente o meno – è l’isolamento delle piazze crypto europee rispetto a quelle del resto del mondo.
Gli stablecoin che vogliono operare in Europa devono avere riserve fatte in un certo modo – talvolta in contrasto con le norme sulle riserve di altre giurisdizioni. Questo comporta la creazione di stablecoin locali, poco capitalizzati, che non possono contare su quell’infrastruttura prodigiosa DeFi che li rende più liquidi e sicuri.
Si può osservare quanto capitale sia stato in grado di raccogliere EURC di Circle, che doveva essere l’esempio di cosa si sarebbe potuto fare in Europa: 100 milioni scarsi, una cifra che rende il prodotto – senza nulla togliere a Circle che lo emette – meno liquido, con spread più alti e soprattutto meno appetibile. Basta guardare la tabella dei mercati con più volumi: sono tutti scambi verso USDC, segno che l’appetibilità di questi prodotti è prossima allo zero per gli investitori.
Poco male per il legislatore? Si procederà con una sorta di ban per chi non si è adeguato? Ci crediamo poco. Le vie della DeFi sono infinite, e norme restrittive come quelle di cui sopra – tra le altre cose applicate con una trasparenza discutibile – non faranno altro che spostare tanti piccoli investitori nelle braccia della decentralizzazione.
Non è necessariamente un male, ma aggira il recinto che il MiCA pensava di aver costruito: da quelle parti, infatti, non si applicano le leggi europee, nessuno si interessa di ciò che è stato approvato dal Parlamento Europeo o dalla Commissione, e in ultimo è il codice a decidere cosa si può fare e cosa non si può fare.
L’altro recinto: quello dell’accesso alle banche
Poiché ci rifiutiamo di credere che nessuno di coloro che hanno redatto il MiCA sia consapevole di quanto sopra, riteniamo che si pensi di poter limitare l’appetibilità dei circuiti decentralizzati riducendo la possibilità di accedervi o uscirne tramite le banche.
Le banche, infatti, non offrono banking in Europa agli exchange che non saranno dotati di bollino, creando un ulteriore ostacolo a chi non si piegherà a utilizzare gli exchange registrati.
Possibile, probabile e probabilmente, per un certo periodo, funzionerà. Ma c’è un problema: alcune persone decideranno – a brigante brigante e mezzo, diceva il presidente Pertini – di non rientrare più nelle banche e di arrangiarsi (oggi è già possibile) detenendo una parte o l’intero proprio patrimonio in quei circuiti che il MiCA avrebbe voluto ingabbiare.
Il discorso è lungo, noioso e probabilmente inutile. L’unico appello che chi vi scrive si sente di fare è il seguente: se ci si è accorti che troppe regole stanno soffocando l’industria europea in generale, fermiamoci a riflettere se lo stesso non stia accadendo anche nel mondo Bitcoin e crypto.
O meglio, per il mondo degli operatori di questo settore, gli unici che devono necessariamente uniformarsi a ogni ordine che arriva dall’UE. I protocolli DeFi, le singole chain, i singoli asset digitali continueranno a vivere in barba ai recinti creati dalla politica.