Poche nazioni sono state così coinvolte nel fenomeno delle criptovalute come l’Islanda. Questo paese poco chiacchierato è diventato, da circa due anni a questa parte, una meta estremamente gettonata da parte dei miners. Ci sono delle valide ragioni per cui ciò è avvenuto: il freddo islandese è perfetto per raffreddare le schede video con cui avviene il mining, ed al contempo questa operazione molto dispendiosa in termini energetici trova terreno fertile nelle risorse locali. Dalla geotermia alle centrali idroelettriche, in poche parti del mondo è possibile ottenere la corrente elettrica ad un prezzo minore.
Questo polo di attrazione che ha visto nascere così tanti progetti decentralizzati ha anche fatto nascere al suo interno una community molto influente nel mondo delle criptovalute. Dal mining si è infatti presto passati alle startup, alle ICO e molto altro ancora: ad oggi, l’Islanda è una fonte inesauribile di novità e idee del mondo decentralizzato.
Inversione di rotta
Alcuni degli esponenti più importanti della community islandese della cripto-finanza hanno appena rilasciato un’intervista in esclusiva a Red Herring per discutere del futuro di questi asset e della loro presenza in Islanda. Sarebbe difficile citare tutti coloro che sono intervenuti, per cui ci limiteremo a ricordare che tra questi vi sono il Presidente del Borealis Data Center e l’amministratore delegato di HS Orka, principale azienda di energia elettrica nella nazione.
Sono emersi tanti spunti interessanti, soprattutto in relazione al mining. Dopo un 2018 tragico per le criptovalute, i cui valori si sono più che dimezzati dall’inizio dell’anno, il trend di crescita dei miners in Islanda non si è affatto arrestato. Anzi, si prevede che per l’anno in corso verrà utilizzato il doppio della corrente utilizzata nel 2017 per le operazioni di mining. Chi conosce questo mondo, sa bene che minare criptovalute è fondamentale per assicurare un corretto funzionamento della rete di transazioni che vengono eseguite tramite queste; allo stesso modo, però, sembra che l’Islanda non voglia più concedere le sue risorse ai miners e che questi ultimi non siano nemmeno più interessati ad utilizzarle.
Il fulcro della questione nasce in seno ad un discorso di ecocompatibilità, ma non tralascia la logica del profitto. Troppa energia elettrica impiegata, troppi ribassi per le criptovalute. La community islandese ha già dichiarato il suo intento di spostare in prevalenza altrove le strumentazioni per il mining, lasciando a Reykjavik i progetti più ambiziosi di start-up e ICO: niente abbandono del mondo decentralizzato, dunque, ma un focus più netto sulle applicazioni della tecnologia blockchain al di fuori delle valute.
Miners in fuga, ma verso dove?
Di fronte alla minaccia di prezzi più alti per la corrente elettrica e all’opposizione delle istituzioni al mining, molti minatori hanno già deciso di fare i bagagli e lasciare l’Islanda. Dove sono diretti? Sembra che per il momento ci siano ancora tanti posti interessanti da esplorare per chi rincorre questa febbre dell’oro moderna. Tra i vari, il Canada e la Norvegia rispecchiano maggiormente le caratteristiche che hanno reso conveniente l’Islanda nel biennio che sta per concludersi. Rimarrà da vedere se, tuttavia, di fronte ad una crescente sensibilità sul tema ambientale i miners non inizieranno a trovare ostacoli anche in altri posti.