Le criptovalute? Più instabili della marijuana. La politica USA ci regala un’altra perla nell’attacco, spesso scomposto, al mondo delle criptovalute. Questa volta a parlare è il senatore Bennet – e tema del contendere non poteva essere che ancora una volta Signature Bank, una delle banche in difficoltà negli USA, accusata di aver dato troppo spazio a clienti… crypto.
Durante una sessione della commissione che si occupa di banche, il senatore non le ha mandate a dire e rivendica il libero accesso delle società che trattano marijuana al settore bancario, dicendo non troppo tra le righe che se è permesso offrire banking a società cripto, non c’è motivo di vietarlo alle società del mondo cannabis.
Cosa presa seriamente dagli astanti, compresa Janet Yellen, che presiede il Tesoro USA. Il mondo cripto ride anche e anzi piazza una performance interessantissima durante la sessione asiatica, parzialmente ripetuta durante quella europea. Possiamo investirci con FP Markets – vai qui per ottenere il tuo conto demo gratuito – intermediario storico in Europa che offre già 78+ crypto asset e tutto il necessario per fare trading a livello professionale. Per chi vuole operare copiando gli altri, i più bravi, è possibile anche fare trading automatico con il CopyTrader.
Criptovalute? La marijuana reclama giustizia
Checché se ne pensi della marijuana, è dalla situazione legale di questa sostanza che si deve partire per capire gli strali lanciati dal Senatore Bennet, durante la pur seria riunione della commissione che si occupa di banche nel Senato USA. Nel momento in cui scriviamo la marijuana è legale in 37 stati ma continua ad essere proibita a livello federale, cosa che ha causato più di qualche problema di banking per le società che la trattano. In altre parole hanno enorme difficoltà a farsi aprire anche un semplice conto in banca.
Partendo da questa situazione, e senza alcun timore di coprirsi di ridicolo, il senatore ha pensato di intervenire così:
Durante l’ultimo fine settimana, Signature è fallita quasi un quinto dei suoi depositi arrivavano dalle cripto – le banche non possono toccare la marijuana, ma apparentemente possono avere il 20% in crypto – una roba instabile, sapete e che nessuno qui neanche capisce.
Sicuramente lodevole l’ammissione di non comprensione del settore. Così come è lodevole lo strafalcione che confonde depositi in dollari dei progetti cripto con gli investimenti della banca che non erano in cripto. Ma detto questo, il riferimento si è fatto più chiaro poco più avanti, chiedendo se Signature stesse facendo gli interessi dei clienti mentre trattava con player del mondo crypto, che non sono neanche stabili tanto quanto l’industria della marijuana.
Una situazione incresciosa anche per Yellen, che ha promesso interventi sul settore per permettere alle società del settore della cannabis di avere accesso al mondo bancario, per quanto questo rimanga proibito a livello federale.
Che c’entra la marijuana?
Il ragionamento, un po’ obliquo a dire il vero, è questo: se le banche non possono toccare i capitali di chi tratta marijuana legalmente, perché dovrebbero poter avere a che fare con il mondo cripto?
Una sparata in difesa di quanto in molti ritengono una sostanza stupefacente negli USA, anche tra i politici di alto rango, cercando di paragonare le crypto appunto a sostanze stupefacenti. Non sappiamo se questo paragone porterà acqua al mulino che Bennet sta cercando di difendere. Quel che sappiamo è che citare le crypto a sproposito sembra essere una moda che ha infestato un po’ tutto, dalla stampa italiana fino ai piani più alti della politica USA.