Ci sono state ricostruzioni fantasiose dell’avvicinamento di Donald Trump al mondo di Bitcoin. Ricostruzioni che hanno occupato anche la stampa italiana con il pedigree più importante e che però tutte o quasi mancano il punto. Non è innamoramento autentico – e su questo ci sono pochi dubbi – ma le visioni sul dollaro tanto di Trump quanto del suo vice JD Vance non c’entrano assolutamente nulla.
Per chiudere – speriamo per sempre – una questione che continuerà a tormentarci per i prossimi mesi, almeno fino alle elezioni di novembre – abbiamo preparato uno speciale che fissa i punti più importanti di quanto sta accadendo ai piani più alti della politica degli Stati Uniti, per un’elezione che a chi la guarda dall’angolo crypto sembra la più assurda di sempre, ma che in realtà altro non è che ordinaria amministrazione in campagna elettorale.
Senza esprimere giudizio alcuno sulla qualità dei candidati – non è nostro compito, dato che ci occupiamo di Bitcoin e crypto – ciò che proponiamo è una disamina di quanto sta succedendo, quanto succederà e del perché nessuno sembra averci capito nulla.
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Un amore così grande: Bitcoin per un pugno di voti
Donald Trump ha cambiato radicalmente idea su Bitcoin. Nel 2018 affermava a gran voce di essere scettico e di preferire il re dei re, quel dollaro USA che è uno dei simboli più importanti della preminenza, politica e economica, degli Stati Uniti.
Di acqua sotto ai ponti ne è passata tanta. E insieme all’acqua sotto i suddetti ponti sono passati anche tanti sondaggi elettorali. Sondaggi che hanno segnalato la prima novità: esiste un pubblico di elettori che pensano solo e soltanto a Bitcoin e che sarebbero disposti a votare, tappandosi naso, bocca e orecchie, qualunque candidato si mostri più aperto verso questo mondo.
Una prima premessa: l’eredità dell’amministrazione Biden
C’è una premessa senza la quale la mossa di Donald Trump non può essere intesa. Il mondo Bitcoin e crypto arriva da 4 anni terribili sotto l’amministrazione Biden. A dettare la linea al governo federale è stata la senatrice Elizabeth Warren, da sempre avversa all’universo Bitcoin e crypto.
La stessa senatrice ha lanciato diverse proposte di legge, tutte però basate sulla medesima visione di fondo: gli operatori del mondo cripto, gli utenti, gli appassionati e anche gli sviluppatori sono gente di malaffare, che vuole aggirare le normative anti-riciclaggio e che per questo motivo sarebbe preferibile indirizzare verso qualche carcere federale che verso il Congresso.
Per i più maliziosi: il Partito Democratico è stato pericolosamente vicino a Sam Bankman-Fried, il tycoon che nel giro di 3 anni è riuscito a fondare un impero (FTX), lasciare un buco di miliardi, per poi guadagnarsi un paio di decenni nelle peggiori gattabuie degli States.
Le foto con Maxine Waters, democratica oggi tra le principali avversarie del mondo crypto, sono passate alla storia. E sono passate ai registri contabili le sostanziose donazioni di SBF tutte verso candidati democratici, alcuni dei quali poi si sono affrettati a restituirle a frittata però già fatta.
Per Donald Trump voti più facili da rubare delle caramelle ad un bambino.
Un elettorato che servirà portare alle urne
L’ipotesi più credibile che abbiamo letto mette in fila diverse questioni che riguarderanno le prossime elezioni. In breve: non esistono o quasi elettori disposti a cambiare partito, le preferenze non si spostano facilmente e l’affluenza sarà cruciale per vincere le elezioni.
E che c’azzecca, direbbe un noto ex-politico italiano, con Bitcoin? Semplice: ci sono due questioni che come poche sono in grado di sobillare l’elettorato libertarian negli States, quell’elettorato che in parte si raccoglieva dietro Ron Paul e che difficilmente si prende la briga di andare alle urne.
La prima è quella di Ross Ulbricht. Il fondatore e gestore di Silk Road è nelle patrie galere con un fine pena mai che Donald Trump ha confermato voler commutare. In altre parole, libertà per uno dei paladini della narrativa libertaria. E Silk Road è anche parte delle mitologiche origini di Bitcoin – e per questo molto vicino alle posizioni di un certo elettorato.
La seconda è quella di Bitcoin, che ha una valenza politica enorme in una fase storica dove le banche congelano conti anche su base politica (almeno secondo questa narrativa) e con il Dollaro Digitale CBDC che potrebbe diventare presto realtà, per quanto ai repubblicani piaccia pochissimo.
Sollecitando questi due nervi scoperti di un elettorato sparuto per numeri ma che potrebbe essere decisivo in certi stati, Donald Trump sta apparecchiando la strada per portarli a votare.
Il fatto che i due temi siano stati lasciati colpevolmente scoperti dall’amministrazione Biden, ha reso la mossa di Trump tanto facile quanto scontata.
Soldi, soldi, soldi
I principali gruppi del mondo crypto, da Ripple a Coinbase, passando per Gemini dei fratelli Winklevoss, si sono già compattati per le elezioni e lo hanno fatto mettendo sul piatto della bilancia una quantità non indifferente di denaro.
Tutti i soggetti sopracitati hanno o donato direttamente a Donald Trump, anche in forma personale, o hanno contribuito a suon di milioni a super PAC (sono dei comitati elettorali che raccolgono donazioni o verso certi politici, o per certi gruppi di interesse) che finiranno per finanziare soltanto candidati pro-crypto.
E le elezioni si vincono anche spendendo denaro negli stati chiave, come raccontano quasi tutte le ultime tornate elettorali.
Se è difficile spostare le donazioni delle big tech, del petrolio e del settore energetico e di tutti gli altri comparti chiaramente schierati da qualche decennio, è stato relativamente facile per Trump sollecitare investimenti da un comparto ricco e in cerca di protezione politica a Washington.
Che sia vero o no, sarà un voto “utilitaristico”
Sui social sono partiti da tempo i processi alle intenzioni sulla conversione sulla via di Bitcoin di Donald Trump. C’è chi si sente preso in giro, chi ci vede mero calcolo politico e chi crede che Bitcoin l’abbia infatuato più delle donne che hanno scandito la sua vita.
In un’elezione che però in molti hanno descritto come questione di vita o di morte per il settore crypto, è ragionevole pensare che almeno per i diretti interessati (exchange, progetti crypto, finanza che strizza l’occhio ai punk del denaro) sarà un voto utilitaristico.
Do ut des, io ti voto se mi proteggerai dagli sgherri di Washington che hanno reso la mia vita un inferno. Funzionerà? O sarà la solita luna di miele poi bruscamente interrotta dalla real politik?
Difficile a dirsi per ora: quello che sappiamo è che il matrimonio appare certamente come di convenienza. Protezione in cambio di voti e donazioni. Ma di questo difficilmente si potrà dare la colpa a Trump: i democratici dovrebbero almeno provare a fare mea culpa per una gestione ai limiti del romanzo distopico dell’intera baracca crypto.
Tant’è che pare che Kamala Harris e il suo staff stiano disperatamente cercando di resettare i rapporti con l’industria. Sarà difficile – almeno senza promettere la defenestrazione di Grary Gensler di SEC o senza prendere le distanze da Elizabeth Warren.
Il dollaro non c’entra nulla
JD Vance è un noto sostenitore di un dollaro debole che aiuti gli USA a re-industrializzarsi. Questo almeno è quanto emerge dalle analisi anche della stampa italiana, realizzate dopo aver pescato qui e lì vecchie dichiarazioni del candidato alla vice-presidenza nel ticket con Trump.
È vero? Probabilmente sì. Bitcoin giocherà un ruolo nella vicenda? Assolutamente no. Gli Stati Uniti non sono Cuba e aspettarsi un’economia di quel tipo viaggiare su due binari valutari diversi – Bitcoin forte Dollaro debole – è una fantasia degna di una pessima uscita Urania. Che esistano dei piani articolati per l’integrazione di Bitcoin nel bilancio o nell’economia USA è per ora wishful thinking da parte degli appassionati e materiale da romanzo fantascientifico per tutti gli altri.